Mediobanca, fine di un’era in cui Cuccia licenziava gli Agnelli e non rispondeva a Berlusconi

Ci sono tutti i segni della fine di un’epoca. Mediobanca da centro di potere che decideva i capi le sorti delle più grandi aziende italiane finirà ridotta a provincia di una banca che stava per fallire, il Montepaschi di Siena.

Una prova, se ce ne fosse stato bisogno della “alterna onnipotenza delle umane sorti” evocata da Ugo Foscolo.

Un’altra lezione della vita: come un simbolo della onnipotenza finanziaria finisce e come una grande Banca per anni pascolo dei comunisti non solo toscani, una volta sottratta all’influenza dei politici e un po’ di aiuto anche da parte dello Stato come ai vecchi tempi dell’Iri, può diventare il punto di formazione del terzo polo bancario italiano.

La fusione Mediobanca – MPS

 

La conclusione formale del processo di fusione tra MPS e Mediobanca è fissata per il 6 settembre 2025. Ma ci sono tutti i segni che la partita sia chiusa con la vittoria dei senesi.

Per una beffa del destino, per effetto del buy-back di 385 milioni, a cui è seguito l’annullamento a luglio del 2,4% del capitale di Mediobanca, il capitale di Piazzetta Cuccia si è rarefatto, aumentando al contempo il peso delle quote dei singoliazionisti di rilievo, rileva Andrea Rinaldi sul Corriere della Sera.

Per chi non segue da vicino le vicende della grande finanza, ripercorrere le tappe di questo romanzo può essere un po’ complicato. Anche perché l’ultimo capitolo probabilmente deve essere ancora scritto ed è quello del controllo delle generali, una delle più grandi aziende italiane, uno dei più grandi assicuratori europei al centro da sempre della affettuosa attenzione di Mediobanca e negli ultimi tempi di uno scontro sotto il livello dell’acqua fra i conquistatori francesi (dai tempi di CarloVIII sembrano sia cambiato molto) che il governo italiano che intendeva intende mantenere in Italia il controllo del Leone di Trieste.

Il bottino Generali

Generali, almeno finora, continua ad avere in agenda la creazione di un polo internazionale con Natixis, disegno favorito dal primo socio di Generali, Mediobanca, ma fortemente osteggiato non solo da Del Vecchio (Delfin) e dal gruppo Caltagirone – primi soci privati di Mps e azionisti di rilievo di Mediobanca – ma anche da una parte consistente della maggioranza di governo, nota Antonio Troise sul Quotidiano Nazionale.

Per avere un’idea, i maggiori azionisti di Generali sono: col 13,20% Mediobanca, 10,05% Del Vecchio, 6,90% Caltagirone, 6,59%  Unicredit, 4,86%, Benetton

In due parole. Un bel giorno, Luigi Lovaglio, il risanatore di MPS annuncia di voler legare la banca senese con Mediobanca, cosa mai sentita in dottant’anni di storia italiana.

Sullo sfondo, il disegno di due grandi azionisti di MPS e di Mediobanca, Francesco Gaetano Caltagirone e gli eredi di Leonardo Del Vecchio (una gloria italiana: dall’orfanotrofio dei Martinitt  a uno degli uomini più ricchi del mondo). Caltagirone (altro grande personaggio di superiori, capacità cresciuto in mezzo secolo da palazzinaro a finanziere e editore) possiede il 10 percento di Mediobanca e il 9 percento di MPS, mentre le quote Del Vecchio sono del 19%  in Mediobanca e del 9,78% in MPS.

Mediobanca reagisce con una offerta di scambio di azioni con Banca Generali ma i suoi azionisti bocciano la proposta.

Alla guida di Mediobanca c’è, da più di 20 anni, Alberto Nagel, un ex giovane che ha spalancato le porte del vecchio istituto a nuove forme di attività bancaria, moltiplicando il valore in borsa dell’azienda. Può essere nessuno li sarà grato se non l’azienda stessa con i milioni di buonuscita.

Ma la bravura di Nagel e le sue scaramucce difesa non farsi a poco di fronte ragnatela costruita con pazienza da Caltagirone e Del Vecchio nel corso degli anni.

Remo un nuovo bancario che oltre a MPS e Mediobanca includerà anche la Banca di milano BPM. Sembra proprio di sì.

Les dieux s’en vont. Sono lontani i tempi di quando Cuccia poteva permettersi di non rispondere al telefono a Berlusconi, almeno fino a quando quest’ultimo, già uno dei più grandi imprenditori italiani,  non diventò Primo Ministro

Mediobanca è nata nel 1946 su ispirazione del banchiere Raffaele Mattioli che la affidò a Enrico Cuccia.

L’Italia era appena uscita dalla guerra, spaccata in due e semidistrutta dalle bombe. Fabbriche a pezzi quando non erano state smantellate dai tedeschi. Il capitalismo italiano era da terzo mondo. Le più grandi industrie erano state salvate dal fallimento negli anni 30 attraverso la costituzione dell’Iri, che fu poi protagonista della grande ricostruzione italiana. Il capitalismo privato era ridotto a poche famiglie con pochi soldi, almeno in Italia. C’era paura dell’invasione russa e della rivoluzione comunista. I film di Totò hanno immortalato la fuga dei soldi italiani in Svizzera in quegli anni.

Mediobanca fu in un certo senso l’Iri dei privati: fornì capitali, assistenza finanziaria e anche di tecnica amministrativa. Quando la Fiat entra in crisi nel 1974 per la crisi petrolifera cuccia mandò come direttore amministrativo a Torino, il suo fido Cesare Romiti.

Per dare un’idea della potenza di Cuccia, è sufficiente ricordare il ruolo avuto da quest’ultimo nella destituzione di Umberto Agnelli, nel 1979.

Così è stato per mezzo secolo, fino alla morte di Cuccia, nel 2000.

Ancora nel 1995 Cuccia, ormai ormai nominalmente pensionato, poteva pensare di convocare Carlo Caracciolo, fargli trovare schierato lo stato maggiore di Mediobanca con Vincenzo Maranghi in testa, e di mettere in mano un foglietto con lo schema di una scalata interna al gruppo espresso che avrebbe estromesso Carlo De Benedetti in quel periodo in cattive acque giudiziarie.

Ma nel frattempo le cose erano cambiate, l’economia italiana si è sviluppata al punto da diventare la settima al mondo.

Le banche italiane sono cresciute, si sono allargate in Europa e continuano a farlo.

 

 

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