Roma, 1 settembre 2025 – Fino a qualche anno fa, l’acronimo Sco, che sta per Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, diceva pochissimo se non agli addetti ai lavori. Adesso, ogni volta che i 20 Paesi euroasiatici che ne fanno parte, fra membri e ospiti, si riuniscono, le cancellerie occidentali dormono sonni poco tranquilli. Non c’è da dare loro torto, visto che, detto in termini poco diplomatici, la composizione della foto uffciale, somiglia a un film dell’orrore.

La ventincinquesima edizione del vertice della Sco, poi, si tiene niente meno che a Tianjin, in Cina, con il presidente Xi Jinping in prima linea, pronto a fare capire a Trump che, nella sua idea di relazioni internazionali, non ha fatto i conti con un po’ di oste. Di questi, cinque, Cina, India, Russia e Iran e Pakistan hanno capacità nucleare e tutti quanti le idee ben chiare su quello che debba essere il loro posto nel mondo di domani, che difficilmente sarà tranquillo. Il protagonista indiscusso della prima giornata di ieri è stato il presidente russo, Vladimir Putin, accolto con tutti gli onori da Xi, con buona pace del red carpet in Alaska.
Prima di partire aveva lanciato un avvertimento all’Europ quasi programmatico: “Vediamo che in alcuni stati occidentali i risultati della seconda guerra mondiale vengono di fatto rivisitati. Il militarismo giapponese viene rianimato con il pretesto di immaginarie minacce russe o cinesi, mentre in Europa, Germania inclusa, si stanno compiendo passi verso la rimilitarizzazione del continente, con scarsa attenzione ai parallelismi storici”.
Putin si tratterrà in Cina per tutta la durata del vertice. Il suo advisor, Yuri Ushakov, ha parlato di un colloquio fra i due leader “molto dettagliato e produttivo”. Fra gli argomenti trattati ci sono stati – ha fatto – sapere – i contatti avuti con Donald Trump.
La sintonia fra Mosca e Pechino, insomma, sembra più intensa che mai. Ma non è l’unica. Fra i leader presenti a Tianjin, c’è anche il premier indiano, Narendra Modi, e il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il primo è un peso massimo, il secondo un peso medio che però non vede l’ora di mettere a tappeto più avversari possibili. Fra New Delhi e Pechino si sta sviluppando una sinergia sempre più forte, due Paesi ‘partner nello sviluppo e non rivali’.
Lo dimostra l’accoglienza calorosa riservata da Xi a Modi, ma anche le dichiarazioni dopo il loro incontro. “I rapporti tra India e Cina non devono essere visti attraverso la lente di un Paese terzo”, ha affermato il leader indiano, con un riferimento, nemmeno troppo velato, agli USA di Trump, che possono scordarsi il ruolo di arbitro mondiale. Perché il mondo è grande e soprattutto gli attori sono tanti e ambiziosi. Il presidente Erdogan è stato sicuramente uno dei leader più attivi. Con il dinamismo che lo distingue ha tenuto bilaterali praticamente con tutti, in testa naturalmente il padrone di casa. “Cina e Turchia sono grandi Paesi emergenti con spirito di indipendenza” ha detto Xi al termine del loro colloquio, dove si è parlato della costruzione di un mondo più equo e giusto (dunque in chiave antioccidentale), ma anche tanto di affari, con Pechino e Ankara pronte a stringere accordi di collaborazione in campo energetico, biomedico e tecnologico.
In questa parata di leader poco confortante, c’è una presenza inedita, che lascia ancora meno tranquilli sulle sorti mondiali: il leader nordcoreano Kim Jong Un, che per la prima volta partecipa a un evento multilaterale. Grandi amicizie che stanno nascendo e che sono pronte a cementificarsi. Dopo Tientsin, i nemici sono definitivamente avvisati.