Roma – A una settimana dalla firma dell’accordo di pace a Sharm el-Sheikh, la tregua vacilla. La testardaggine di Donald Trump ha tamponato l’ennesima crepa del cessate il fuoco facendo tempestivamente rientrare quella che è apparsa come una prova generale della ripresa del conflitto. Ma la fase di stallo verso la fase 2 sta mostrando la fragilità dell’intesa.
A fine giornata, quando l’esercito israeliano annuncia la ripresa del cessate il fuoco, il bilancio dei raid condotti domenica 19 ottobre da Israele a Gaza in risposta a un attacco contro le Idf a Rafah, nel sud della Striscia, è di 44 morti. Nell’attacco sferrato da presunti miliziani di Hamas hanno, invece, perso la vita due soldati israeliani appartenenti al 932esimo battaglione della Brigata Nahal.

“Le Idf continueranno a far rispettare l’accordo di cessate il fuoco e risponderanno con forza a qualsiasi violazione dell’accordo” hanno dichiarato le forze armate israeliane. Ma Hamas nega ogni accusa e grida al complotto. “Riaffermiamo il nostro impegno, totale, per l’attuazione di quanto concordato, prima di tutto un cessate il fuoco in tutte le aree della Striscia. Non siamo a conoscenza di incidenti o scontri nella zona di Rafah, poiché si tratta di zone rosse sotto il controllo dell’occupazione e i contatti con i nostri gruppi rimasti lì sono stati interrotti da quando a marzo è ripresa la guerra”, è la risposta del braccio armato di Hamas, le Brigate al-Qassam.
La tensione è iniziata a salire nella notte tra sabato e domenica quando gli Stati Uniti hanno informato i Paesi garanti dell’accordo di pace per Gaza (Qatar, Turchia ed Egitto) di “informazioni credibili” che indicavano “un’imminente violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas contro la popolazione di Gaza”. Accuse bollate da Hamas come “propaganda israeliana fuorviante”, che rilancia: “È Israele che ha creato, armato e finanziato bande criminali” nell’enclave palestinese.
Passano poche ore e Israele denuncia la rottura del cessate il fuoco da parte dei miliziani di Hamas. Non contro i civili, come preannunciato, ma con “un missile anticarro e spari” contro le truppe dell’Idf a Rafah. E, dopo aver informato l’amministrazione Trump, attraverso il Centro di comando statunitense che supervisiona il cessate il fuoco, l’esercito israeliano ha iniziato la sua rappresaglia, sferrando una prima serie di raid aerei su Rafah e Beit Lahia, proseguiti nel pomeriggio “su obiettivi terroristici”. Sebbene un funzionario israeliano abbia precisato che “Tel Aviv non ha richiesto alcun permesso per condurre le operazioni di rappresaglia” Trump ha avvertito Israele di rispondere ad Hamas “in maniera proporzionata, ma con moderazione”, per evitare di rompere l’accordo sul piano di pace.
E mentre la situazione stava sfuggendo di mano con l’ordine, poi rientrato, da parte del primo ministro israeliano di chiudere tutti i valichi verso la Striscia di Gaza e di interrompere la consegna degli aiuti umanitari mentre i ministri israeliani della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, e delle Finanze Bezalel Smotrich, chiedevano a Benjamin Netanyahu la “ripresa completa delle operazioni di combattimento nella Striscia con la massima forza” fino alla “completa distruzione” di Hamas, l’intervento di Trump ha evitato l’escalation. Steve Witkoff e Jared Kushner sono attesi a Tel Aviv per discutere i prossimi passi.