“Io so, ma non ho le prove”. Emanuela Orlandi e de Pedis, l’audizione del prefetto D’Angelo. Romanzo criminale

“Io so, ma non ho le prove”, scriveva Pasolini a proposito di colpo di Stato. 50 anni dopo, un bravo scrittore come Michelle Serra giustamente rileva che nessun altro oltre al poeta, assassinato proprio in quel torni di drammatici eventi, avrebbe potuto pronunciare quella frase ed essere credibile.

A decenni di distanza dal rapimento di Emanuela Orlandi, dalla lunga scia di delitti e dal rosario di relazioni pericolose che compongono il romanzo criminale dell’epoca – Calvi, Banda della Magliana, Ior, Cosa Nostra  etc… -, un prefetto ed ex super poliziotto di allora non esita a ribadire quella frase.

L’audizione dell’ex prefetto Nicolò D’Angelo

“Non ho prove per affermarlo, posso dire però che probabilmente lui ha a che fare con questo sequestro, i rapporti Oltretevere erano abbastanza stretti, non escludo possa essere stato interessato”.

Dopo oltre due ore e mezza di audizione, in gran parte secretata, il prefetto Nicolò D’Angelo ex vice capo della polizia, e al quel tempo investigatore della Squadra mobile, alla domanda secca e diretta della commissaria Stefania Ascari non gira attorno al punto.

E pur sottolineando di non avere le prove, indica in Enrico de Pedis (detto Renatino), esponente di spicco del ramo dei testaccini della banda della Magliana, una personalità che può avere avuto un ruolo di primo piano nel caso Orlandi.

“De Pedis aveva rapporti con il Vaticano”

“Aveva rapporti con il Vaticano”, ha spiegato e “con Paul Marcinkus in particolare, non lo escludo”. La testimonianza di D’Angelo parte da lontano. Davanti alla Commissione bicamerale di inchiesta sulle scomparse di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi, ricostruisce la storia di una banda sui generis, “io l’ho sempre definita una agenzia del crimine”, che faceva anche “sequestri”.

emanuela orlandi
“Io so, ma non ho le prove”. Emanuela Orlandi e de Pedis, l’audizione del prefetto D’Angelo. Romanzo criminale (foto Ansa-Blitzquotidiano)

Un dedalo in cui in pochi si sono potuti districare. D’Angelo ha raccolto le confidenze di chi da quel sistema voleva uscire come Claudio Sicilia. Una lunga storia investigativa che non si incrocia in maniera esplicita con il sequestro Orlandi ma che ha elementi che inducono D’Angelo a sospettare il ruolo di De Pedis.

Magliana contro Testaccio

“Una delle prime domande che abbiamo fatto a Claudio Sicilia, la Orlandi: non ha saputo o non ha voluto dare alcuna risposta ma c’è un aspetto interessante” che riconduce al ruolo di “Enrico De Pedis” e agli “investimenti” che il gruppo Testaccio “aveva fatto nello Ior”.

“A quell’epoca – ha raccontato – il gruppo nasceva come rapinatori, ricettatori, poi crescono, si arriva a 200 affiliati non organici, gli organici erano il gruppo dei testaccini e quello della Magliana ed erano l’uno contro l’altro per avere il controllo su tutta Roma”.

“Ma perché il gruppo della Magliana – continua – sulla domanda sulla Orlandi sa molto poco? Perché ne sapeva di più il gruppo Testaccio che aveva i contatti maggiori, che aveva sofferto meno detenzioni, e Testaccio si era un po’ sottratto, questo è il motivo della morte di De Pedis, io ero capo della sezione Omicidi quando è stato ucciso”.

Orlandi, testaccini, Marcinkus, Calvi

“Quindi – prosegue – il gruppo Testaccio era a sé stante, investiva molto di più sui vari proventi, nell’86 iniziammo la collaborazione con Sicilia che si pente e l’altro episodio che cercammo di chiarire è l’omicidio Calvi, perché noi abbiamo acceso un faro sullo Ior”.

“Esiste una mia informativa di quegli anni – ricorda D’Angelo – nella quale sostengo anche secondo quanto riferitoci da Sicilia, che Calvi era stato narcotizzato e impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra”.

Emergerebbe anche un ruolo di un altro esponente del crimine, Casillo Vincenzo, indicato all’epoca come il killer di Calvi. “nasce come appartenente alla Nuova camorra organizzata, tradisce e passa nell’orbita della Nuova Famiglia legata a Cosa Nostra che a Roma in quel periodo voleva dire Pippo Calò”.

Lo scandalo del Banco Ambrosiano

“Quindi la storia di Calvi è chiaro che ha un mandante, lo scandalo ambrosiano e da lì si risale al discorso dello Ior – prosegue -, non avevamo grandi prove, tutto venne mandato all’ autorità giudiziaria e alla fine è rimasto un omicidio non chiarito, sapevamo comunque che il Banco ambrosiano era legato allo Ior che poi era passato sotto le mani del vescovo Paul Marcinkus”.

“Lo Ior era in condizioni finanziarie critiche – chiarisce quindi -, c’era la famosa crisi delle offerte, occorreva aprire le porte anche ad altri capitali per garantire la sopravvivenza e lì si è infiltrata la criminalità organizzata. Anche la Magliana avrebbe investito una cospicua somma di denaro e anche Cosa nostra”.

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