Ci sono storie imprenditoriali che nascono dalla passione prima ancora che dall’intuizione commerciale. La Santini Cycling è una di queste: un’eccellenza bergamasca che da sessant’anni veste i più grandi campioni del ciclismo mondiale, compreso chi indossa la maglia gialla del Tour de France e quella iridata del campionato del mondo.
A raccontare questa avventura è Monica Santini, amministratrice delegata dell’azienda insieme alla sorella, che dalla sede milanese condivide con emozione ai microfoni del vodcast Money Vibez Stories, il percorso che ha portato un’impresa nata nel 1965 a diventare uno dei brand più riconosciuti nel panorama ciclistico internazionale.
L’onore di vestire i campioni
“È una bellissima emozione, un onore sicuramente vestire i campioni, i più campioni“, esordisce Monica Santini con orgoglio. “Devo dire che abbiamo la fortuna di vestire, di essere sponsor e ovviamente di produrre le due maglie più rinomate del mondo del ciclismo, che sono la maglia gialla del Tour appunto, e la maglia iridata del campionato del mondo.”
Un risultato che sfida lo stereotipo tutto italiano dell’autodenigrazione. “C’è sempre questo limite che ci diamo da italiani: non ci crediamo in genere, non siamo noi stessi a dire ‘ma vedrai che non verranno in Italia per scegliere la loro maglia simbolo’. Invece no, vengono a Bergamo a scegliere le nostre maglie”, sottolinea con soddisfazione.
La scelta del Tour de France nei confronti di Santini non è stata casuale. “È stata sicuramente legata alla necessità che avevano di avere un brand che fosse veramente riconosciuto e apprezzato per l’innovazione tecnologica”, spiega l’amministratrice delegata.
“Venivano da anni in cui i brand che avevano utilizzato erano più dei brand quasi mass market e che avevano prestato al ciclismo la loro immagine. Questo aveva però portato ad avere magari meno felicità all’interno del gruppo dei professionisti che invece vogliono essere sempre di più super performanti.”
Una passione nata per caso
La storia della Santini Cycling affonda le radici in una combinazione di passione e casualità, come spesso accade nelle migliori storie imprenditoriali italiane degli anni Sessanta. “La passione era quella di mio padre, ciclista con pochissimo talento, posso dirlo, purtroppo, ma con una passione per questo sport molto forte”, racconta Monica con un sorriso.
Il fondatore Pietro Santini aveva capito presto che non avrebbe potuto competere “con i Gimondi o i Motta della sua generazione, che erano poi anche amici suoi”, ma aveva continuato a voler rimanere legato al mondo del ciclismo. Il destino intervenne in modo inaspettato: “Per un caso della vita lui faceva il saldatore, si ruppe una gamba, rimase a casa e all’epoca erano gli anni Cinquanta, le sue sorelle lavoravano in casa la maglieria. Quindi cominciò aiutando le sorelle in casa e invece di rientrare a fare il saldatore, decise di restare a fare maglieria.”
Fu così che le amicizie nel mondo del ciclismo si trasformarono in opportunità di business: “Quando cominciarono a chiedergli ‘visto che fai maglieria, fai la mia maglia per noi?’, perché le maglie erano di lana all’epoca”, ricorda Monica.
I numeri di un’eccellenza
Oggi Santini Cycling è “uno dei brand sicuramente più riconosciuti nel mondo“, con un fatturato che si aggira intorno ai 28 milioni di euro, 150 persone in Italia e “un’altra cinquantina di persone in giro per il mondo nelle varie sedi distributive”.
La scelta di mantenere la produzione in Italia, quando molti delocalizzavano, si è rivelata strategica. “Abbiamo fatto la scelta dell’high quality, abbiamo fatto la scelta del focalizzarci su questo mercato del ciclismo e abbiamo anche investito molto nel brand. Questa componente di cose ci ha permesso di poter scegliere di restare in Italia”, spiega Monica.
Una decisione che porta con sé sia vantaggi che sfide. “Viviamo in un Paese che di sicuro non semplifica la vita, soprattutto quella di natura economica e imprenditoriale”, ammette l’amministratrice delegata.
“Ma è meno complicato nel senso che tutta la nostra catena è molto corta. Siamo fortunatamente in un territorio, quello di Bergamo, che ha fatto del tessile tecnico uno dei suoi migliori settori riconosciuti nel mondo. Abbiamo la fortuna di poter accedere a fornitori che sono partner con i quali collaboriamo a chilometro zero. Questo ci permette di avere, con la produzione interna, una flessibilità e una velocità di risposta al mercato altissima.”
La sfida più grande? “La difficoltà è proprio nel trovare persone. Lavoriamo in una provincia con tassi di disoccupazione praticamente quasi a zero”, rivela Monica.
Quando una maglietta non è solo una maglietta
L’innovazione tecnologica è il cuore pulsante della Santini Cycling. “Se guardo cosa producevamo anche soltanto dieci anni fa e cosa produciamo oggi, sembrano veramente due ere geologiche diverse”, sottolinea Monica.
Dall’esterno può sembrare semplice: “Chiaro che una maglietta è una maglietta, non è difficile individuarlo ad occhio nudo. Però in realtà c’è tutto lo studio all’interno dei materiali e dei tagli che facciamo che portano ad avere prodotti sempre più performanti.”
L’aerodinamica è diventata centrale: “È diventata il chiodo fisso in questo sport perché devi risparmiare qualunque tipo di drag. Anche sulle magliette, per esempio, uno dei grandi cambiamenti che abbiamo visto nel mondo del pro è che moltissimi ormai utilizzano i body anche nelle grandi distanze. Abbiamo fatto tantissimi studi per rendere il mono – quindi l’unico pezzo maglia-pantaloncino attaccato – competitivo ma allo stesso tempo confortevole, perché se devi farci 200 e passa chilometri devi starci dentro.”
E poi c’è la sfida degli agenti atmosferici: “Ricordiamo che questi atleti non sono all’interno di una serra, ma se non fai pista sei alla mercé degli agenti atmosferici. Quindi noi dobbiamo tenere presente tutte queste cose: coprirli dal freddo, dal caldo, dalla pioggia.”
I marginal gains e l’ascolto degli atleti
I professionisti sono diventati “molto attenti ad ogni cosa. I famosi marginal gains di cui si parla negli ultimi anni nel ciclismo sono arrivati ad ogni livello, ovviamente l’abbigliamento è uno di questi”, spiega Monica.
L’approccio dell’azienda bergamasca è quello di un ascolto costante: “Come in ogni cosa ci sono persone e persone, ci sono dei campioni che sono molto facilmente accontentabili e ci sono invece quelli che sono esigentissimi fino all’ultima virgola, quindi è molto anche il carattere.”
La soluzione? “Facciamo le fitting session con tutti i nostri atleti. Nel momento in cui si fanno le fitting session, che vuol dire misurare ogni corridore per ogni capo, abbiamo anche questo momento di ascolto molto forte per capire se stiamo coprendo tutte le loro esigenze oppure se c’è qualcosa che possiamo fare per migliorare.”
La rivoluzione dell’abbigliamento femminile
Un capitolo particolare nella storia recente della Santini riguarda l’abbigliamento femminile, una vera e propria bandiera per l’azienda. “Per molti anni le donne hanno dovuto indossare capi da uomo proprio perché non c’era una scelta alternativa. Oggi non è più così: si può avere lo stesso livello di performance con dei tagli dedicati alle ragazze”, sottolinea Monica.
Essere due donne a capo di un’azienda di ciclismo ha fatto la differenza: “Dell’abbigliamento femminile abbiamo fatto una bandiera proprio perché siamo le prime utilizzatrici. Io e mia sorella siamo i primi test, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento da donna.”
La seconda generazione e i valori dell’azienda
Monica Santini rappresenta la seconda generazione dell’impresa familiare, un passaggio sempre delicato nelle aziende italiane. “Le seconde generazioni e quelle successive hanno rispetto ai fondatori un approccio un po’ diverso, vorrei dire un po’ più manageriale, proprio perché la creatura non è la tua creatura ma è qualcosa che ti hanno dato e ti hanno detto ‘fa’ meglio'”, riflette.
Il percorso di Monica è stato quello di cercare esperienze diverse: ha studiato e lavorato all’estero, in particolare in Brasile per tre anni, prima di ricevere la telefonata del padre che le chiedeva di decidere sul futuro dell’azienda. “Stavo cercando di fare una carriera all’estero dove comunque avrei fatto cose che avrei fatto anche in Italia per la mia azienda, quindi decisi di tornare.”
I suoi primi ricordi dell’azienda risalgono all’infanzia: “I genitori imprenditori non sanno mai dove metterti. Quindi io d’estate, ma anche nei pomeriggi, spesso li passavo in azienda e ricordo che mi facevano raffinare la lana. Prima di entrare nelle macchine da maglieria veniva passata attraverso questi due dischetti di paraffina, e io andavo, cambiavo i dischetti, facevo passare i fili.”
La libertà di scelta è stata fondamentale: “Non c’è mai stato un obbligo formale. Non c’è mai stata quella frase ‘devi per forza venire a lavorare qua’. Quello che da buoni bergamaschi a tutte e due è sempre stato detto è: ‘fai quello che vuoi, l’importante è che quello che fai lo fai bene, lo fai al meglio delle tue capacità’.”
L’importanza dei valori aziendali
Pur introducendo managerialità, Monica ha cercato di mantenere fermi i valori fondanti: “Quello che secondo me è stato ed è per noi fondamentale è stato il cercare di mantenere i valori. Apportare imprenditorialità sì, managerialità sì, ma tenendo fermi i valori. I valori che papà aveva messo all’interno di questa realtà credo che siano ancora lì tutti oggi.”
Questi valori si traducono in scelte concrete, come la nuova sede: “Abbiamo fatto la scelta di acquistare una serie di edifici già esistenti, costruiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e di ristrutturarli invece di partire da ground zero. Proprio perché crediamo nel fatto che dovevamo cercare di utilizzare meno suolo possibile, anzi riportare in vita un posto che per noi era bellissimo, aveva solo bisogno di essere un po’ risistemato.”
Tecnologia e sostenibilità
L’innovazione per Santini non significa solo performance, ma anche sostenibilità. Monica mostra con orgoglio una giacca da pioggia completamente impermeabile che sta dentro la sua stessa tasca: “È fatta con zero PFAS, quindi una membrana senza PFAS e anche dei finissaggi no PFAS, che è diventato uno standard ma che noi già adesso dal 2024, quindi già prima del 2023 in realtà, l’abbiamo lanciato, cercando di anticipare i tempi.”
“La tecnologia per noi non è soltanto essere performanti ma è anche essere ecosostenibili. Il nostro commitment verso l’essere sostenibili, nel pensare a prodotti che possono avere un fine vita o una seconda vita, o impattare meno sul nostro ambiente, è uno dei punti fondamentali su cui lavoriamo”, sottolinea l’amministratrice delegata.
Il futuro del ciclismo e della fatica
Guardando al futuro, Monica ha una visione controcorrente del ciclismo: “Siamo proprio nell’industria della fatica: per andare in bicicletta devi credere fermamente nel dolore, nella fatica. Non è proprio tantissimo di moda.”
Eppure vede opportunità proprio in questo: “Forse in un mondo così comodo, dove tutto viene aiutato, l’ultima è l’intelligenza artificiale dove quasi non dovremo neanche più pensare, forse tornare alle origini dove veramente fare fatica, metterti in discussione, fare contro te stesso una prova perché vuoi migliorare il tempo che hai fatto la volta prima, secondo me diventerà un elemento molto forte.”
Il ciclismo del futuro, secondo Monica, sarà “molto più attratto dal poter spingere a visitare posti, magari farlo con gli amici, potersi godere delle giornate indimenticabili, mettendoci dentro un po’ di fatica, mettendoci dentro sudore, andando controtendenza.”
Una giornata da amministratore delegato
La giornata tipo di Monica Santini inizia presto: “Sono in ufficio di solito verso le sette e quaranta”, dice. La sua è una leadership aperta, letteralmente: “Vivo in un ufficio trasparente, fatto di vetro. È stato voluto: anche nel nuovo edificio che abbiamo acquistato e ristrutturato quattro anni fa è rimasto uguale. Credo fortemente in questa cosa.”
La porta è sempre aperta: “Se qualcuno ha bisogno di parlare con me, che sia il mio direttore vendite o che sia l’ultima delle persone che abbiamo assunto una settimana fa, deve poter avere accesso alla mia persona, assolutamente.”
Il rapporto con la produzione è costante: “Mi capita per tanti motivi, da banalmente perché c’è qualche ospite e portiamo a visitare la produzione, perché facciamo delle riunioni all’interno della fabbrica, mi capita perché mi chiamano per verificare alcune cose e magari decidere di cambiare dei macchinari. Mi capita anche perché facciamo i compleanni e magari mi chiamano perché dobbiamo bere il caffè, perché qualcuno della fabbrica ha offerto il caffè.”
All’interno della sede c’è persino una palestra e si organizzano uscite in bici durante la pausa pranzo, oltre a corsi di pilates settimanali. “Cerchiamo di farci stare un po’ di altre cose” in quella pausa, spiega Monica.
Il Made in Italy e la concorrenza globale
Sul valore del Made in Italy, Monica è chiara: “È un valore più fuori che dentro. È un valore percepito soprattutto in certi Paesi più che da noi stessi.” Anche se nota un cambiamento: “Le nuove generazioni sono più attente delle precedenti, magari non semplicemente nel dire made in Italy, ma nell’insieme di valori che questo possa portare.”
L’azienda esporta in oltre 65 Paesi nel mondo, ma la concorrenza è complessa: “Bisogna capire cosa si intende per concorrenza. È chiaro che se dici è tuo concorrente quello che importa un prodotto cinese no brand che vale un decimo del tuo, stiamo parlando veramente dello stesso livello di concorrenza?”
Il problema più grande viene dall’e-commerce incontrollato: “Se l’Europa non fa qualcosa per bloccare i milioni di pacchi che arrivano senza controllo – non tanto perché non devono arrivare in sé per sé, ma perché questi bypassano tutta quella serie di regole a cui le aziende che lavorano sul territorio sono sottoposte e che rispettano – è una doppia concorrenza.”
L’impegno in confindustria e le filiere
Monica è attiva in Confindustria da anni: “Credo fermamente che riuscire a mettere a disposizione un po’ del proprio tempo per aiutare tutte le aziende a sentirsi parte di qualcosa di più grande e in qualche modo anche farle sentire meno sole – perché diciamocelo, fare l’imprenditore è un lavoro molto solitario – credo che sia assolutamente importante.”
Le filiere sono fondamentali: “Quando tu frammenti molto le filiere ti rendi conto che il tuo lavoro diventa più complicato. Io sono convinta che noi dobbiamo lavorare molto insieme: partiamo dal territorio ma dal territorio dobbiamo allargarlo, arrivare all’Europa.”
La solitudine delle decisioni
Sulla solitudine dell’amministratore delegato, Monica è sincera: “A volte quando devi arrivare alla fine e dire ‘no, si prende questa decisione’, sì, ti senti ancora molto sola.” Ma aggiunge con pragmatismo: “È il gioco che ti hanno dato. Lo hai voluto, la bicicletta? Da noi si dice: pedala.”
Ha la fortuna di condividere la responsabilità con la sorella: “Abbiamo idee diverse su certe cose ma abbiamo tutte e due questo mantra per cui si deve prendere la decisione che fa bene all’azienda e non quella che fa bene al nostro ego.”
Sulla domanda se essere donna in questo ruolo sia ancora considerato strano, risponde con ironia: “Sicuramente ci sarà ancora qualcuno che la pensa come una cosa strana, magari viene detta di meno perché è meno politically correct dirlo, però sono convinta che tanti ancora la pensino così.” E aggiunge: “Molto spesso ti viene detto ‘ma come fai a bilanciare tutto? Sei una donna’. E a me viene da pensare: ma perché, tu non sei un marito, non sei un padre, non sei un fratello? Perché deve essere difficile per me e non per te?”
Guardare avanti con passione
Quando le viene chiesto se si sia mai pentita di essere tornata nell’azienda di famiglia, Monica è categorica: “Assolutamente no. Anzi, lo dichiaro per chi fosse nel dubbio: non vale per tutti, ma io penso di essere fortunatissima di vivere lavorativamente un’esperienza fantastica in un’industria che è una via di mezzo tra la moda e lo sport. Due cose bellissime. Sono felicissima. La mia giornata è così lunga proprio perché mi piace lavorare qui.”
Se dovesse cambiare qualcosa? “Avrei probabilmente negoziato certi contratti in maniera diversa. Proprio perché noi siamo molto generosi da tanti punti di vista: quando ci impegniamo in qualcosa, questo DNA bergamasco per cui fai le cose bene sempre, se dai la tua parola deve essere quella. Ci impegniamo tantissimo, a volte anche più per gli altri che per noi stessi.”
La storia della Santini Cycling è la storia di un’Italia che sa ancora fare impresa con passione, competenza e visione. È la storia di una famiglia bergamasca che ha trasformato una passione per il ciclismo in un’eccellenza mondiale, mantenendo salde le radici nel territorio e i valori che hanno guidato il fondatore. Ed è la storia di due donne che oggi guidano questa eccellenza verso nuove sfide, consapevoli che, come dice Monica citando un proverbio locale, quando hai voluto la bicicletta, non ti resta che pedalare.