Roma, 22 ottobre 2025 – Facile dire che “il basket è uno sport per famiglie” (Gianni Petrucci, presidente federale, dopo la mattonata assassina a Raffaele Marianella). Ma anche se la situazione delle tifoserie cestistiche negli ultimi anni è progressivamente migliorata, e gli ultrà più accesi o meno raccomandabili sono recintati dentro le gabbie di plexiglas di molti dei vetustissimi palasport italiani, la realtà resta lontana da ambizioni domenicali senza macchie. Basta accedere all’Osservatorio manifestazioni sportive del Viminale, per scoprire, nella ’Determinazione n. 42’ del 15 ottobre scorso, che ben cinque partite di A2 di basket in calendario nelle prossime settimane si sono meritate il rinvio all’autorità di sicurezza “per l’adozione di misure restrittive”. Così ad esempio Roseto-Rieti, che domenica prossima avrebbe fatto incontrare le tifoserie più pericolose del torneo (quella abruzzese della bomba carta nella partita contro Pesaro e quella laziale capace di un raid omicida), si giocherà a porte chiuse.

La tessera del tifoso, con identificazione nominativa di derivazione calcistica, agli ultrà del basket non piace. Neppure in versione sperimentale. “Una misura di controllo sociale ritenuta illegittima”, spiega Pippo Russo, sociologo all’Università di Firenze ed esploratore del mondo ultrà. Risultato: una protesta condivisa dalla A alla B superando ogni rivalità. Prova ne sia la contestazione unificata dei tifosi di Virtus e Andrea Doria che a Imola lottano per il primato cittadino in serie B. Anche gli spalti senza striscioni e tamburi configurano un’offesa al rito. E se in serie A la situazione delle tifoserie appare meno calda (Siena è in B, Pesaro è retrocessa, Bologna è senza derby), al contrario la serie A2 pullula di rivalità: tra nobili decadute (come Fortitudo-Pesaro, però il 12 ottobre con tensioni tutte felsinee tra Fossa dei Leoni e gruppo Manigoldi), oppure storiche (come Forlì-Rimini), o assorbite per malintesa fratellanza. Tipo Pistoia è gemellata con Cento, Cento detesta Scafati, mentre Rieti è sorella di Scafati e quindi contro Pistoia. Un certo grado di cattiveria è capace di superare fallimenti e perdite di categoria: emblematico l’odio (ricambiato) di Rieti per la Sutor Montegranaro trasferitosi poi alla concittadina Poderosa. Storie dall’Italia di provincia che freme per i canestri ma bordeggia derive pericolose. “Inimicizie consolidate, violenza radicata con gli stessi codici di appartenenza e regolamentazione del calcio. Accade da tempo”, continua Russo.
Se 230 tifosi del Napoli – giusto ieri – sono rispediti via preventivamente da Eindhoven (non senza vittimistiche recriminazioni); se in simultanea quelli della Juve Stabia (in serie B) scoprono di pagare il biglietto di ingresso allo stadio direttamente alla camorra; se i capi ultrà di Juve, Milan, Inter, Lazio sono in carcere per estorsione, droga e omicidio oppure già al cimitero (le esecuzioni dell’interista Antonio Bellocco e del laziale Fabrizio Piscitelli sono casi di scuola), allora significa che in Italia la questione curve resta ben piantata negli stadi e nell’opacità.
Russo, da sociologo, invita a distinguere: “L’antagonismo identitario contro omologazione e mercificazione dello sport denota capacità di analisi e giudizio, e non va confuso con l’uso imprenditoriale della violenza, anche messa a disposizione delle ali estreme della politica, ora soprattutto a destra”. “Le curve – osserva – sono come la società: forze molecolari prendono peso, nuovi leader si affermano”. Ma nell’Italia dove la destra è al potere, gli ultras per cosa protestano? “Per antagonismo sociale, per campanile sportivo, per autoconservazione tribale e organizzativa. In ogni realtà ci sono tante variabili. La criminalizzazione generica è un autogol”.