Da La Sad a “Maldivita”: l’intervista più sincera di Plant

Bro, sbatti, skillare. Plant ha chiuso i conti coi La Sad, ma non col loro vocabolario e sul divano di Soundcheck, il format musicale disponibile sui social e il sito web del nostro giornale, pesca a piene mani nello “slang” delle sue canzoni per dare voce e sentimento a pensieri, ricordi, riflessioni, appunti a margine, intrisi di vita vissuta. Quella che tracima pure dall’album “Maldivita” (tutto attaccato), con cui Francesco Emanuele Clemente, come si chiama all’anagrafe, dopo l’esperienza con Theø e Fiks avvia il suo cammino solista. 

Il titolo indica già il clima di queste tredici canzoni
“Ogni generazione ha avuto i suoi problemi. Diciamo, però, che la nostra vive nella bolla di questa vita artificiale che la circonda e che ne alimenta il malessere. L’ansia di un’epoca che ha paura di fermarsi, perché se lo facciamo per davvero rischiamo di sentirci”.

Cosa resta oggi del piccolo Francesco bullizzato dai compagni di scuola arrivato a carezzare pericolosamente pure pensieri estremi?

“Purtroppo, certi traumi te li porterai in testa a vita. Io sono del ’99 e ho un fratello di quattro anni più giovane che per strada veniva affiancato in auto da ragazzi della mia età che lo bullizzavano per via mia, o che citofonavano a mia madre nel cuore della notte per sfotterla di avere un figlio sbagliato. Il fatto di essere oggi una persona estremamente insicura lo devo, forse, anche a questi trascorsi”.

Due settimane fa ai Magazzini Generali di Milano ha tenuto il primo concerto tutto suo affiancato da tutti gli ospiti del disco, ovvero Nitro, Bnkr44, 18k, Sally Cruz. Soddisfatto del risultato?

“Mi sono sentito sulle spalle un peso gigante, perché la gente compara e c’era il rischio di sentirmi dire ‘meglio prima’, ma anche per il fatto che, a livello di tenuta fisica, assumersi la responsabilità di uno spettacolo di 15-20 canzoni in tre è una cosa mentre farlo da solo un’altra”.

Plant dopo l'esperienza coi La Sad ha intrapreso la carriera solista
Plant dopo l’esperienza coi La Sad ha intrapreso la carriera solista

Per La Sad il Festival di Sanremo ha rappresentato indubbiamente una grande opportunità, ma è stato anche un trauma. Forte come quando a 15 anni se ne venne via da Altamura per venire a fare musica a Milano?

“No, sicuramente meno duro. Anzi, Sanremo ha dato una svolta alla mia vita, togliendomi tanti vizi e marcando un prima e un dopo”.

Per promuovere il disco ha fatto circolare dei cerotti blu come il suo colore di riferimento. Su quali ferite li metterebbe?

“Potessi tornare indietro, cercherei innanzitutto di non deludere i miei genitori come ho fatto. Non sapendo a che santo raccomandarsi, una volta mia madre convocò a casa addirittura il parroco del quartiere per provare a parlarmi. Ho fatto anche scelte di vita, dipendenze ed altro, con cui da un paio d’anni ho chiuso completamente. E non mi vergogno neppure di parlarne, perché magari la gente pensa che droga sia ‘cool’ e invece è una cosa da sfigati”.

Se Francesco non fosse diventato Plant, chi gli sarebbe piaciuto essere?

“Magari un fornaio, che sforna focacce ed è virale su TikTok. Anche se a me la comunicazione interessa, perché mi piacciono le parole – ricordo che al liceo classico collezionavo 2,3,4 in tutte le materie tranne nei saggi brevi di italiano, dove arrivavo all’8 e al 9 – e per un certo periodo avrei ambito di fare il telecronista da stadio”.