Do You Remember? Il VAR ha 5 anni: lo festeggiamo?

Il VAR compie cinque anni di polemiche e promesse non mantenute: eppure così se ne parlava dopo il primo, storico episodio…

Oggi il Var compie 5 anni. Non sappiamo se in qualche luogo verrà preparata una torta per festeggiarlo (anche perché chi la mangerebbe: il designatore? La Dea della Giustizia? Gli arbitri tutti?). Quel che è certo è che il dibattito attorno all’efficacia di questo strumento non finirà mai e che nessuno può negare che abbia impedito anche errori di solare evidenza.

Nonostante abbia una certa età, centinaia di partite sigli schermi, 5 anni nel calcio sono tantissimi, un tempo corposo che mi fa pensare come un reduce. Perché – insieme ad altri 40.000 –  posso dire «Io c’ero», ero presente all’Allianz Stadium quando un intervento in ritardo di Alex Sandro sul cagliaritano Cop determinò il primo rigore decretato “col” Var (e non “dal” Var come erroneamente scriviamo di solito: le parole sono importanti, anche fuori dai film di Nanni Moretti, altrimenti pensiamo che sia una macchina a prendere le decisioni, che restano profondamente umane, persino assembleari, data la quantità di occhi che sovrintendono al mezzo elettronico).  

Il calcio italiano entra nel futuro, si disse con una certa solennità in quel 19 agosto 2017, nel quale – per rimanere al dato di campo – Buffon parò il rigore, tanto per affermare che Superman sarebbe stato Superman anche nel 1984 di George Orwell.

Ognuno può fare il bilancio che vuole di questi primi 5 anni, anche perché ogni settimana non manca una raccolta di episodi che induca a fare riflessioni sulla discutibilità (quantomeno) di certe decisioni. Giusto come materiale per il quale facciamo questa rubrica, è piuttosto divertente verificare quali furono le prime reazioni in quei giorni dove il calcio sembrò mutare pelle e forse l’ha fatto davvero.

  1. Non ci furono proteste in campo. In Juventus-Cagliari la decisione di Maresca su indicazione del Var venne accettata di buon grado, anche se nell’azione incriminata non c’erano state molte proteste, giusto un gesto da parte del giocatore colpito. In seguito, non sarebbe andata proprio così.
  2. Si è chiusa un’era, è la mazzata definitiva sui complottisti. In una fortunata formula coniata con la sostituzione di una sola consonante, la Var ha chiuso il bar. A distanza di 5 anni, semmai, li ha moltiplicati.
  3. I tempi di applicazione vanno migliorati. In Juventus-Cagliari l’interruzione durò 97 secondi. Sembrò un’eternità, abbiamo assistito a soste molto più lunghe. Rese ancor più eterne da una gestione dell’evento dal punti di vista televisivo alquanto abborracciata, decisamente e programmaticamente anti-spettacolare e quasi nulla informativa. E pensare che i dialoghi tra sala Var e arbitro, riprodotti nel film sull’ultimo campionato trasmesso da Dazn, sono puro cinema in tutto e per tutto, già solo per il respiro affannoso della comunicazione. Peccato che li si senta mesi dopo.
  4. Ci vuole il tempo effettivo. Suggestione che ogni tanto esce fuori e che avrebbe il potere di sconvolgere più di un secolo di calcio modificandone una delle coordinate principali. Se mai avverrà come risposta e conseguenza del Var è materia per saggi filosofici più che per burocrati del regolamento. 
  5. «La Var ci rende sereni», commento di Vincenzo Montella in veste di allenatore. In campo, in parte, sempre più minima. Fuori, nei commenti poco gara, è successo tutt’altro. Credere che in Italia possa applicarsi un giudizio, di qualsivoglia natura, che venga semplicemente accettato è qualcosa che sta molto vicino alla fantascienza. Molto di più della moltiplicazione di immagini, schermi e controllori preposti a stabilire l’esattezza di una decisione a caldo che il controllo Var raffredda, ma giusto solo un po’ e mai abbastanza per apparire ed essere infallibile. Cosa del resto che si era capita già nei famosi processi televisivi del giorno dopo, quando a ore di distanza dall’evento se mettevi 4 ex arbitri a ragionare su un rigore ne uscivano 8 pareri diversi. E tutti con la pretesa – o la speranza – di essere inequivocabili.

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