Europa, ultima fermata. Per evitare un altro 1914, smetta di essere vassalla

Roma, 21 settembre 2025 – L’​​​​​​ultima provocazione è durata dodici minuti: tre MiG-31 russi oltre il confine estone, due F-35 italiani a respingerli. Dodici minuti, sufficienti a ricordare quanto vicina è la linea oltre la quale la pace precipita. Una settimana fa lo diceva con parole nette e necessarie – a risvegliare un dibattito pubblico, il nostro, troppo spesso strumentale e ambiguo – il presidente Sergio Mattarella, richiamando il 1914: “Siamo su un crinale”.

Vladimir Putin e Donald Trump il 15 agosto in Alaska
In this pool photograph distributed by the Russian state agency Sputnik, US President Donald Trump and Russian President Vladimir Putin pose for photos during a US-Russia summit on Ukraine at Joint Base Elmendorf-Richardson in Anchorage, Alaska, on August 15, 2025. (Photo by Sergey Bobylev / POOL / AFP)

Allora bastò la scintilla di un colpo di pistola a far scivolare il mondo nel baratro di un conflitto senza precedenti. Oggi, lo sappiamo, bastano un sorvolo, un drone, un gesto dimostrativo che sfugge al sempre più fragile controllo della diplomazia di guerra. Del resto la storia non ripete mai gli stessi eventi, ma rievoca sempre i medesimi fantasmi. Il primo: il passo falso che arriva dalla paura.

Putin conosce molto bene l’alfabeto della paura. Viola un confine sensibile (Estonia, Polonia, Romania), misura tempi di reazione, nervi e coesione; arretra senza colpo ferire e lascia dietro di sé il rumore delle domande. È uno stress test permanente all’Occidente, più psicologico che militare. L’Europa, in risposta, mostra i suoi muscoli per procura: pattuglie Nato, radar, Samp-T, il coraggio professionale dei nostri piloti. Ma il punto cruciale resta la domanda che brucia a ogni vertice tra i 27 Paesi: come farà la nostra casa a difendersi da sola? Con quali requisiti l’Unione – sempre più isolata e sempre più nuda – saprà restare perno dell’Occidente e dei suoi valori?

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Proprio in questa domanda il richiamo al 1914 incontra il nostro presente allargato: due guerre che bucano il cuore dell’Occidente, Ucraina e Gaza, due guerre da leggere in parallelo perché Israele è l’unico avamposto occidentale in Medio Oriente. In entrambi i conflitti c’è un aggressore che punta a piegare le regole — Mosca a Est, il governo Netanyahu a Sud — e in entrambi c’è un’Europa che parla a mezza voce: ferma contro Putin ma solo finché resta sotto l’ombrello atlantico, esitante e tardiva quando si tratta di frenare Israele, rallentata com’è nella sua capacità di reazione non tanto dai rapporti che ci legano a Tel Aviv, quanto dal ricatto implicito di un’amministrazione americana che ci sta mettendo alle corde. Venerdì, gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi: l’ennesimo “no” che pesa come un lasciapassare politico all’azione crudele del Governo israeliano.

L’America non è più garanzia per l’Europa. Trump accoglie Putin su un tappeto rosso, ammicca alla Cina su Taiwan, predica la pace come transazione commerciale, tratta la Nato come un contratto a premio. In Medio Oriente ha scelto l’inerzia attiva: ascoltare più che parlare, lasciare che l’offensiva terrestre su Gaza vada avanti. Il risultato è una asimmetria morale che scotta: la fragilità della UE contro Putin fa il paio con la timidezza nel sanzionare Netanyahu.

E tuttavia – lo ricordava Andrea Capussela in un articolo di qualche settimana fa su ‘Le Grand Continent’ – questa arrendevolezza non è solo un errore strategico: è una “servitù volontaria” che scava sotto i piedi della democrazia europea. Se deleghiamo sicurezza, commercio, e perfino il lessico dei diritti, finiamo vassalli due volte: di chi ci minaccia e di chi ci protegge. O finge di farlo. I veti altrui, quando noi restiamo senza voce, diventano i nostri silenzi.

Che cosa deve fare l’Europa? Deve diventare adulta nella difesa, non per militarizzare il futuro, ma per sottrarlo al ricatto della paura. Deve ritrovare un principio di coerenza: se sanzioniamo l’aggressione russa, dobbiamo saper frenare con durezza anche la scellerata operazione di Israele, perché la credibilità non si negozia a geometria variabile.

Deve avere autonomia economica intelligente, per evitare che i dazi di Washington o i ricatti di Mosca si trasformino nel metronomo delle nostre scelte. Infine, deve dotarsi di una voce politica unica: nelle sedi ONU e Nato, l’Europa deve presentarsi come soggetto e non come delegazione.

Il fantasma del 1914 è il nostro modo di camminare verso l’abisso a passi piccoli, esitanti. Scioccamente convinti che “tanto qualcuno fermerà tutto”. Ma nessuno lo farà per noi. O l’Europa decide adesso di stare al centro della propria polis, oppure resterà la scena su cui altri recitano, mentre noi paghiamo il biglietto