Eutanasia a 26 anni per depressione, Siska è andata fino in fondo: “Ora la sanità cambi”

Bruxelles, 7 novembre 2025 – Siska è andata fino in fondo. A 26 anni ha scelto l’eutanasia – legale in Belgio dal 2002 – per mettere fine alla profonda depressione che la tormentava da anni, e a cui non ha trovato altro rimedio se non quello della dolce morte. Siska De Ruyssche ha lasciato questa terra domenica, circondata dai amici e familiari. La scorsa estate era in Thailandia, scattava foto. Nelle immagini sui social si mostrava sorridente, con i capelli lunghi, sciolti, il trucco leggero, le mani curate. Era il suo ultimo tentativo di vivere. Ma non ha funzionato. “Alzarsi, vestirsi, anche le più piccole cose sono diventate una lotta impossibile”, aveva raccontato pubblicamente. Già, perché andandosene la giovane fiamminga voleva comunque lasciare un messaggio, accendere un faro sui problemi di salute mentale, che possono essere tanto invalidanti quanto una menomazione fisica. 

Il messaggio sulla salute mentale

“Racconto la mia storia perché penso che molte cose possano essere migliorate nell’assistenza – riportava lo scorso 18 ottobre il sito in fiammingo Het Laatste Nieuws –. Procedure. Liste d’attesa. Rimborsi. Ricoveri. Io stessa sono il prodotto di un’assistenza carente. Sono stata in celle di isolamento, sono stata legata a barelle e ho visto infermiere alzare gli occhi al cielo, come se dicessero ‘eccola di nuovo’”. Nel suo caso le cure non sono bastate, ma per molti possono e devono fare la differenza. 


Il calvario di Siska

Il calvario di Siska inizia quando era giovanissima. “Sono stata vittima bullismo all’asilo, alle elementari. Pensavo di non essere abbastanza”. La prima volta che ha cercato il suicidio era un’adolescente. “Avrei dovuto sapere che non avrebbe funzionato con quella miscela di pillole, ma avevo 14 anni”. Vomitò, i genitori pensarono a una gastroenterite: due giorni dopo era a scuola. Poi di tentativi ce ne sono stati tanti altri. “Ci ho provato 40 volte”. È stata fermata in tempo, o si è salvata. Nel frattempo è diventata zia, si è innamorata, ha fatto viaggi da sogno, ha lavorato con i minori. Eppure la sua determinazione non è cambiata. “Ho fatto terapia della parola, terapia sportiva, terapia creativa, terapia EMDR, terapia del trauma, terapia familiare e terapia con gli animali. Ho lavorato in una fattoria di cura”. Ha preso farmaci, naturalmente. “Quanto ancora avrei dovuto provare?”.

“Ora sono in pace, perché so che finirà”

Il percorso per ottenere l’eutanasia le ha portato serenità. Intanto ha avuto una prima vera diagnosi (“grave disturbo depressivo, disturbo dell’attaccamento e sindrome da stress post-traumatico”). “Ho sentito che tutti i pezzi del puzzle andavano a posto”. Con l’autorizzazione all’iniezione letale è arrivato un senso di pace. “Perché so che finirà  – diceva – che c’è una data di scadenza”.

“Egoista? Finalmente penso a me”

La domanda è brutale ma uno psicologo gliel’ha fatta, pensando forse di spostare il focus di Siska sulle sue spinte vitali: “Perché non si è buttata da quel ponte?”. La risposta è stata: “Perché non volevo traumatizzare la gente con il mio suicidio. Passanti. Autisti. Macchinisti”. Qualcuno pensa che l’eutanasia sia un gesto egoistico, nei confronti di genitori, sorelle e amici. “Bisogna vederla dal lato opposto. In realtà sono rimasta molto più a lungo di quanto avrei voluto. Forse l’ho fatto più per loro che per me stesso. Ora tocca a me”. 

In Belgio la legge del 2002 consente il ricorso all’eutanasia nei casi in cui il paziente abbia sofferenze ritenute insopportabili e qualora la situazione non possa essere risolta mediante altri mezzi. Sono contemplate patologie fisiche e psichiche. Tra queste la depressione refrattaria ai trattamenti.