Ira di Trump sulla Cina: “Dazi del 100%”. Cancellato l’incontro con Xi Jinping, tonfo di Wall Street

Guerra commerciale in purezza. Usa contro Cina, o viceversa. Tornano a spirare i venti di burrasca fra gli Stati Uniti di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping dopo la stretta di Pechino sulle esportazioni di minerali rari. Un atto “molto ostile” per il tycoon americano. La risposta è durissima: ulteriori dazi al 100% nei confronti del Dragone a partire dal primo novembre, quando scatteranno anche controlli all’export per i software essenziali. Il presidente ha anche chiarito che non ci sarà alcun incontro con il presidente Xi Jinping in Corea del Sud tra due settimane.

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Trump ha ammesso di essere stato colto di sorpresa dalle “lettere inviate” dalla Cina in tutto il mondo. Il pizzino di Pechino, agli occhi di Trump, è una “minaccia”: maggiori controlli sull’accesso alle terre rare e le esportazioni dei minerali. Di qui la reazione di The Donald. “A partire dal primo novembre 2025 (o prima, a seconda di eventuali ulteriori azioni o cambiamenti intrapresi dalla Cina), gli Stati Uniti d’America imporranno alla Cina una tariffa del 100%, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente applicata. Sempre il primo novembre, imporremo controlli sulle esportazioni su qualsiasi software essenziale“. Questo il messaggio pubblicato da Trump sul suo social Truth, che dà corpo alla promessa di tariffe più pesanti sventolata solo qualche ora prima.

Xi Jinping con Vladimir Putin a Pechino
In this handout photograph taken and released by the Russian presidential press office on May 16, 2024, Russia’s President Vladimir Putin (R) and China’s President Xi Jinping review a military honour guard during an official welcoming ceremony in Beijing. Leaders Xi Jinping and Vladimir Putin framed their nations’ ties as a stabilising force in a chaotic world as they met in Beijing, where the Russian president is seeking greater Chinese support for his war effort in Ukraine and isolated economy. (Photo by Handout / RUSSIAN PRESIDENTIAL PRESS OFFICE / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE – MANDATORY CREDIT “AFP PHOTO / RUSSIAN PRESIDENTIAL PRESS OFFICE” – NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS – DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS

Minacce che hanno appesantito le Borse europee – Parigi ha perso l’1,53%, Francoforte l’1,5%, Londra lo 0,86 per cento e Piazza Affari ha lasciato sul terreno l’1,74% – e hanno fatto affondare Wall Street. I listini americani hanno chiuso in profondo rosso, con il Nasdaq che ha ceduto il 3,56%, e hanno visto andare in fumo 1.500 miliardi di dollari di capitalizzazione.

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A inizio anno, Pechino aveva introdotto delle restrizioni limitando le forniture necessarie alle case automobilistiche e alle aziende della difesa americana. Questa settimana il Dragone ha notevolmente aumentato i controlli sulle esportazioni, affermando tra l’altro che qualsiasi produttore di chip avanzati in qualsiasi parte del mondo deve ottenere una licenza per utilizzare minerali cinesi. La Cina domina la catena di approvvigionamento globale di molti di questi minerali e le misure hanno causato ansia tra le aziende americane ed europee.

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Giovedì Bruxelles ha espresso la sua preoccupazione per la mossa di Pechino. “Stiamo analizzando i dettagli: la Commissione europea si aspetta che la Cina agisca come un partner affidabile e garantisca un accesso stabile e prevedibile alle materie prime critiche”, ha detto il portavoce per il Commercio Olof Gill. Durante il summit Ue-Cina di luglio, ha ricordato il funzionario, “le parti hanno concordato di rafforzare le relazioni commerciali aumentando la trasparenza e dando garanzie alle imprese Ue, in particolare nel settore dei magneti e delle terre rare”.

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“Siamo stati contattati da altri Paesi estremamente arrabbiati per questa grande ostilità commerciale, nata dal nulla”, ha insistito dal canto suo The Donald insinuando perfino che non sia stata un coincidenza che le autorità cinesi abbiano inviato le lettere sull’aumento dei controlli proprio “nei giorni in cui, dopo tremila anni di caos e combattimenti, ci sarà la pace in Medio Oriente”. “Come presidente degli Stati Uniti contrasterò finanziariamente la loro mossa”, ha avvertito poi il tycoon mettendo in dubbio il suo incontro con Xi. “Non ho parlato con il presidente Xi perché non c’era motivo di farlo”, ha scritto spiegando che negli ultimi sei mesi i rapporti tra le due super potenze erano stati “buoni”. Ma ora che “avrei dovuto incontrare il presidente cinese all’Apec in Corea del Sud non sembra più esserci una ragione per farlo”.