L’età media dei positivi al Covid-19 in Italia torna ad abbassarsi e l’Istituto Superiore di Sanità esorta a vigilare sulla flessione della curva, che scende a 47 anni. Una tendenza simile (ma molto più marcata) si era registrata in estate, prima della seconda ondata: allora l’età mediana era passata dagli oltre 60 anni di inizio epidemia ai circa 30 anni della settimana centrale di agosto. Poi la lenta risalita, che ora fa registrare un’inversione.
“Potrebbe trattarsi di una fluttuazione. Per leggere il fenomeno e capire se c’è qualcosa di più, sarà necessario osservare con attenzione i numeri delle prossime settimane. Indipendentemente dagli ultimi dati, i giovani rappresentano parte integrante del processo epidemico, pur essendo colpiti in maniera meno severa dal virus. Il fatto che sovente siano asintomatici o paucisintomatici, e dunque spesso non vengano sottoposti a tampone, rende meno semplice l’individuazione dei loro casi e il relativo tracciamento. In altre parole: i più giovani possono contagiarsi senza neanche accorgersene, contribuendo alla diffusione del virus”, dice all’HuffPost Roberto Battiston, fisico dell’Università di Trento.
Da par sua il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, nel corso della conferenza stampa svoltasi il 15 gennaio presso il Ministero della Salute, ha presentato gli ultimi dati del monitoraggio sull’epidemia di coronavirus in Italia, sottolineando: “Il dato dell’età media dei contagi ci dice che sono soprattutto i giovani che contraggono l’infezione, ed è un elemento da guardare con grande attenzione. La curva dell’età mediana dei casi positivi in Italia comincia a decrescere lentamente. Vuol dire che ci sono più persone giovani che contraggono l’infezione, un elemento che può anche essere positivo ma è da guardare con attenzione e da confermare”.
Come riportato dall’ultimo bollettino nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità, infatti, l’età mediana dei casi confermati di infezione da SARS-CoV-2 segnalati dall’inizio dell’epidemia è complessivamente pari a 48 anni (range 0-109 aa). La Figura mostra l’andamento dell’età mediana per settimana di diagnosi; si osserva, a partire dalla fine di aprile, un chiaro trend in diminuzione con l’età mediana che passa da oltre 60 anni nei primi due mesi dell’epidemia a circa 30 anni nella settimana centrale di agosto per poi risalire lentamente fino a 49 anni e poi riscendere a 47 anni nell’ultima settimana”.
Grafici alla mano, il professor Roberto Battiston spiega all’HuffPost che “il calo dell’età media dei contagiati si può verificare per due motivi: la presenza di una minor quantità di persone anziane che si ammalano, oppure la maggiore diffusione del contagio tra la popolazione più giovane. Quando l’effetto è piccolo, come quello registrato dall’Iss nell’ultimo periodo, è difficile individuare quale dei due motivi abbia portato all’abbassamento della media anagrafica”.
Guardando ai mesi passati, sottolinea il fisico, “si può ipotizzare che l’evidente calo dell’età media verificatosi in estate potesse essere connesso alla fine del lockdown di metà giugno, con l’aumentata mobilità e il ritorno ai rapporti sociali tra i giovani. Dopo agosto, la media anagrafica ha cominciato a risalire. All’inizio della seconda ondata, in ottobre, l’età si è attestata attorno ai 41-42 anni, crescendo fino a raggiungere soglia 49 anni. Da quel punto in poi, la curva è rimasta quasi costante. L’abbassamento di due anni riguarda l’ultima settimana analizzata. La figura, infatti, ci mostra come una leggera flessione si sia registrata nel corso di circa un mese: per il momento sembrerebbe però trattarsi di fenomeno piuttosto contenuto che comunque andrà monitorato nelle prossime settimane”.
Più che sul dato inerente l’età mediana dei casi di Covid-19 diagnosticati, Roberto Battiston invita a focalizzare l’attenzione sull’incidenza per fascia d’età, secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità. “Il grafico mostra come in ottobre il picco di incidenza per fasce d’età abbia riguardato prima la fascia 10-19 anni e quella 20-29 anni. Anche osservando il dato che parte dal 28 dicembre 2020 (periodo natalizio, con scuole chiuse, ndr), notiamo che la curva rossa della fascia 10-19 anni è in salita, superando sia la fascia blu 70-79 che quella azzurra 60-69. In questo stesso periodo, anche la curva arancio 20-29 anni sale più delle altre”, dice il fisico.
L’esperto prosegue: “Dunque, nell’ultima settimana registrata, le fasce d’età 10-19 anni e 20-29 anni hanno fatto registrare una crescita: si tratta di un dato da tenere d’occhio, pur nella consapevolezza che potrebbe trattarsi di una fluttuazione. Per leggere il fenomeno e capire se c’è qualcosa di più, sarà necessario osservare con attenzione i numeri delle prossime settimane”.
L’andamento delle suddette fasce d’età è cruciale. Il fisico dell’Università di Trento invita alla “prudenza poiché bisogna anche tenere conto del fatto che i giovani rappresentano una categoria altamente mobile all’interno della società. L’entrata a scuola e l’uscita, l’utilizzo dei mezzi pubblici, le attività pomeridiane e sociali sono elementi che vanno tenuti in considerazione”. “Più una classe sociale è attiva e più si fa portatrice del meccanismo virale, anche se in questo caso lo subisce meno a livello clinico grazie alle maggiori difese immunitarie. Si tratta perciò di una categoria che va protetta (con il vaccino, per esempio) oppure sottoposta a meccanismi di distanziamento sociale ‘ad hoc’ (come la didattica a distanza per la popolazione in età scolare)”, spiega ancora Battiston.
E proprio nelle scorse ore, dopo mesi di DAD, a tornare in classe sono stati oltre 640mila studenti delle scuole superiori. Si tratta dei ragazzi di quattro Regioni italiane: i 256mila del Lazio, a cui si aggiungono i 13mila del Molise i 176mila del Piemonte e i 196mila dell’Emilia Romagna. Questi alunni si sommano a quelli delle Regioni Toscana, Valle d’Aosta e Abruzzo che già dall′11 gennaio frequentano in presenza al 50%. In Trentino le scuole hanno riaperto dal 7 gennaio.
Il professor Battiston sottolinea come sia “fondamentale avere i dati riguardanti la scuola, comprendendo tempestivamente le dinamiche degli eventuali contagi, ricostruendo i contatti e indagando fino a che punto si può attribuire al processo scolastico la diffusione del virus. Si tratta di un lavoro complesso, che prescinde da affermazioni categoriche. Affermare ‘la scuola è sicura’ non vuol dire nulla: senza mettere in discussione il ruolo dell’insegnamento in presenza, bisogna essere pronti a raccogliere ed analizzare dati complessi, comunicare i risultati al resto della popolazione e agire di conseguenza”.
Sempre nel report dell’Istituto Superiore di Sanità del 13 gennaio è stato evidenziato come nell’ultimo monitoraggio vada confermandosi “il peggioramento generale della situazione epidemiologica nel Paese già osservato la settimana precedente”. “Si osserva, per la seconda settimana consecutiva, un aumento dell’incidenza a livello nazionale negli ultimi 14 giorni (368,75 per 100.000 abitanti (28/12/2020-10/01/2021) vs 313,28 per 100.000 abitanti (21/12/2020-03/01/2021)”, scrive l’Iss.
Crescita anche per l’indice Rt (numero che indica quante persone vengono contagiate da una sola persona, in media e in un certo arco di tempo, ndr): “Nel periodo 23 dicembre 2020 – 05 gennaio 2020, l’Rt medio calcolato sui casi
sintomatici è stato pari a 1,09 (range 1,04–1,13) in aumento da cinque settimane”.
“La vera sfida è non cadere nella trappola della terza ondata. Attualmente l’Italia conta circa 500mila infetti attivi registrati, dieci volte più che a settembre: un dato che sul territorio, tenendo conto dei casi non registrati, potrebbe essere il doppio o il triplo. In questa situazione, se l’indice Rt supera soglia 1, i contagi rischiano di esplodere mettendo il sistema sanitario fortemente a rischio. Abbiamo troppi infetti e non possiamo permettere alla bomba di riesplodere. Servono misure tempestive e criteri precisi: dobbiamo anticipare l’epidemia, non inseguirla”, dice Roberto Battiston.
In questo quadro, il fisico dell’Università di Trento sottolinea però un “dato incoraggiante” che sta prendendo piede nelle ultime settimane. “Se è vero che per raggiungere l’immunità di gregge bisognerà vaccinare circa il 70% della popolazione (con effetti benefici visibili già attorno al 30%) – dice Battiston – dobbiamo tenere in considerazione che al momento, tra vaccinati e persone che hanno acquisito un’ immunità, almeno temporanea dopo aver contratto il virus, siamo già attorno al 10% della popolazione che non contribuisce più alla diffusione del contagio. L’immunità vaccinale è garantita ad una settimana dalla somministrazione della seconda dose, quindi dopo un mese, ma un documento informativo diffuso dalla stessa Pfizer evidenzia come, già a dieci giorni dalla prima dose, circa il 90% delle persone risultino resistenti all’infezione. In termini pratici questo vuol dire che, anche se la seconda vaccinazione è necessaria per garantire l’ immunità di lungo periodo, una buona fetta della popolazione vaccinata è già resistente al contagio: è il vaccino la nostra super-mascherina per battere definitivamente il virus.”.