Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Domenico Morfeo ripercorre la sua carriera, segnata da talento purissimo e altrettanti rimpianti. La sua è una parabola che lascia la sensazione di un finale incompiuto, come lui stesso ammette: “Non sono mai stato un professionista. Mi fossi allenato bene e avessi avuto un’altra testa, chissà…”. Oggi, lontano dai riflettori, gestisce un ristorante a Parma ed è sereno, ma non nasconde ciò che avrebbe potuto essere. Sui rimpianti è diretto: “Mi dispiace non essere sempre stato un professionista… non mi piaceva correre né allenarmi”. Guardando agli inizi, ricorda l’incoscienza dei vent’anni: “Giocavo con incoscienza… Il calcio è stato il mio migliore amico, ma anche un nemico”.
Non manca un riferimento alle delusioni: “Ho litigato con tanti… Se devo fare un nome dico Ghirardi”. A Parma, dice, ha trovato la sua dimensione: “Mi sono sentito forte dove sono stato libero”. E se deve dire grazie a qualcuno, non ha dubbi: “Lo direi a Prandelli… il migliore mai avuto”. Morfeo rievoca anche gli anni accanto ai grandi centravanti, tra cui Adriano: “Un animale. Per me il più forte mai visto”. Rivive aneddoti, sfide personali e l’esperienza all’Inter: “Ero il numero dieci e potevo fare di più”. Oggi non rimpiange il calcio: “Avevo le qualità per la Nazionale… ma non ho avuto la testa”. E conclude senza mezzi termini: “No, anzi mi fa schifo quello che vedo. Non tornerei mai”.
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