Il più delle volte ci nascondiamo dietro Netanyahu. “Non ce l’abbiamo con Israele e con gli ebrei, ma con quel criminale”. Un doppio salto mortale nell’ipocrisia. Come se non sapessimo, non leggessimo. Perché Netanyahu è il responsabile, giusto, ma del legittimo governo di Tel Aviv, in cui i dissensi, anche forti, non hanno mai portato a voti di sfiducia. E dunque alla caduta del Governo.
Per non parlare delle piazze israeliane che spesso si sono riempite per protestare contro l’esecutivo. Vero. Ma nella maggior parte dei casi per spingere a un’azione più efficace per il rilascio degli ostaggi, non per fermare le operazioni a Gaza. Tutto questo per dire cosa? Che quando Piantedosi fornisce numeri preoccupanti sull’escalation di episodi di antisemitismo, dal ristoratore che caccia i turisti alle svastiche sui muri, beh, parliamo forse della punta di un iceberg sotto cui non è difficile cogliere, anche nell’ipocrisia prima citata, un più diffuso, latente, sentimento anti Israele e anti ebraico in generale.

Non stupisce, insomma, che i leader di questa comunità ammettano e denuncino di “avere paura”. Comprensibile. E il fatto che da altre parti possano sentirsi ancora peggio, non consola. Soprattutto non deve consolare i tanti che vivono con passione (e ora con un po’ di gioia) le tragiche vicende di Palestina, ma senza mai scivolare dalla legittima critica politica, nell’avversione razziale e religiosa.
Quella che anima certe frange dei cortei pro Pal, e delle occupazioni studentesche. Quella che ha fatto bacchettare il sindaco di Reggio Emilia e Liliana Segre dalla pluridecorata Francesca Albanese! Stop.
Oggi al Cairo succede qualcosa d’importante che non cancella quanto accaduto, ovvio, ma che normalizza la situazione, e forse aiuta a narcotizzare i (ri)sentimenti. Una “scintilla di speranza”, ha detto ieri il Papa. Giusto. In Palestina, e (speriamo) tra di noi.