NUOVO STUDIO: OLTRE L’80% DELL’AUMENTO DELLA CO2, DOPO LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, È DI ORIGINE NATURALE

NUOVO STUDIO: OLTRE L’80% DELL’AUMENTO DELLA CO2, DOPO LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, È DI ORIGINE NATURALE

Articolo di Enzo Ragusa – Giovedì 28 Agosto 2025 – Tempo di lettura 6 minuti

Un esame attento delle piccole perturbazioni all’interno della tendenza del CO2 atmosferico, misurato a Mauna Loa, rivela una forte correlazione con le variazioni delle temperature superficiali del mare (SST), in particolare con quelle nelle regioni tropicali. Il processo dipendente dalla temperatura di degassificazione e assorbimento del CO2 attraverso le superfici marine è ben documentato, e i cambiamenti nelle SST coincideranno anche con cambiamenti nelle temperature terrestri, nonché con cambiamenti dipendenti dalla temperatura nelle biosfere marine e terrestri con i loro cicli del carbonio associati. Utilizzando dataset di SST e Mauna Loa, vengono presentati tre metodi di analisi che cercano di identificare e stimare i componenti antropogenici e, per default, naturali degli aumenti recenti nel CO2 atmosferico, assumendo che i cambiamenti nelle SST coincidano con cambiamenti nell’influenza complessiva della natura sui livelli di CO2 atmosferico. I risultati delle analisi suggeriscono che un componente antropogenico è probabilmente intorno al 20%, o meno, dell’aumento totale dall’inizio della rivoluzione industriale. L’inferenza è che circa l’80% o più di quegli aumenti sia di origine naturale, e infatti i risultati suggeriscono che la natura stia continuamente lavorando per mantenere un equilibrio CO2 atmosferico/superficiale, che è esso stesso dipendente dalla temperatura. Un ulteriore indicatore di questo equilibrio potrebbe provenire da misurazioni chimiche che indicano un breve picco nei livelli di CO2 atmosferico centrato intorno agli anni ’40, e che coincise con un picco nelle SST globali.

Lo studio, pubblicato nel 2025 sulla rivista Science of Climate Change dall’autore Bernard Robbins, un ricercatore indipendente di Manchester (Regno Unito), esplora il complesso rapporto tra le temperature superficiali del mare (SST, Sea Surface Temperatures) e i livelli di CO2 atmosferica. Partendo da dati storici raccolti presso l’osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii, Robbins analizza le fluttuazioni del CO2 atmosferico, mettendo in evidenza come queste siano strettamente correlate alle variazioni delle SST, in particolare nelle regioni tropicali. Il lavoro si basa su ricerche precedenti, come quelle di Humlum et al. (2013), che hanno dimostrato una correlazione tra SST e CO2 con un ritardo di circa 11-12 mesi nelle variazioni del CO2 rispetto alle temperature oceaniche. Robbins richiama la legge di Henry, che spiega come la solubilità del CO2 nell’acqua diminuisca con l’aumento della temperatura: nelle acque fredde polari, il CO2 viene assorbito, mentre nelle acque calde tropicali viene rilasciato, simile a quanto avviene con le bevande gassate che perdono effervescenza quando riscaldate. L’obiettivo principale è distinguere il contributo antropogenico (umano) da quello naturale nell’aumento del CO2 atmosferico dall’inizio della rivoluzione industriale. L’autore assume che le variazioni nelle SST riflettano l’influenza complessiva della natura sui livelli di CO2, inclusi cicli biologici marini e terrestri.

Robbins utilizza dati dal 1995 in poi per evitare interferenze da eruzioni vulcaniche passate (come El Chichón nel 1982 e Pinatubo nel 1992). I dataset includono:

  • Misure di CO2 atmosferico da Mauna Loa (deseasonalizzate).
  • SST globali tropicali (dal 1982), SST tropicali del Pacifico orientale (dal 1951) e SST globali (dal 1958).

Vengono presentati tre metodi di analisi:

  1. Analisi 1: Focalizzata su una finestra temporale breve intorno all’evento El Niño del 1998 per stabilire una relazione CO2/SST. Calcola un “valore totale cumulativo” (CTV) dell’aumento di CO2 basato sui dati SST e lo confronta con l’aumento misurato.
  2. Analisi 2: Utilizza finestre mobili di SST (intervalli di 0.2°C) per esaminare gli incrementi mensili di CO2. Assume che senza influenza antropogenica non ci sarebbe una tendenza al rialzo, e calcola cambiamenti cumulativi da trend line in otto finestre.
  3. Analisi 3: Esamina trend a lungo termine usando curve polinomiali di secondo grado sui dati SST, plottando il CO2 contro trend SST smussati per identificare relazioni lineari.

Le analisi incorporano grafici che mostrano correlazioni, come overlay di CO2 e SST durante eventi El Niño, e calcoli di gradienti (ad esempio, 133 ppm/°C per SST tropicali globali).

I risultati indicano una forte dipendenza del CO2 atmosferico dalle SST:

  • Analisi 1: Il CTV e l’aumento misurato di CO2 dal 1995 sono entrambi di circa 62 ppm, suggerendo un contributo umano non discernibile o minore rispetto ai fattori naturali.
  • Analisi 2: Estima un aumento di 3.4 ppm da emissioni antropogeniche in 28 anni, estrapolando a 27.4 ppm dal 1850, pari al 19.2% di un aumento totale di 143 ppm. Quindi, l’80% o più sarebbe di origine naturale.
  • Analisi 3: Mostra relazioni lineari con gradienti tra 119 e 144 ppm/°C, indicando un legame a lungo termine tra SST e CO2 dal tardo 1950.

Lo studio nota anche un picco storico di CO2 negli anni ’40, coincidente con un picco di SST globali, come evidenza di un equilibrio naturale.

Robbins confronta i suoi risultati con studi simili (ad esempio, Skrable et al. 2022, Harde 2023), che stimano un contributo umano del 15-25%, e altri (Ato 2024, Koutsoyiannis 2024) che non rilevano impatti umani significativi. Discute un equilibrio naturale CO2 superficie/atmosfera, potenziato da effetti di ionizzazione e pressione negli oceani, secondo la legge di Henry estesa. L’autore sottolinea che le emissioni umane sono circa 1/20 del turnover naturale di CO2 e vengono incorporate nei cicli del carbonio naturale, che si adattano ai cambiamenti climatici. Riferisce anche a Humlum, che afferma che le SST controllano il clima globale, possibilmente modulate dal sole e dalla copertura nuvolosa. Tuttavia, questo punto di vista è controverso. La comunità scientifica mainstream, come riportato da fonti come NASA, EPA e IPCC, concorda che l’aumento del CO2 atmosferico (da circa 280 ppm pre-industriali a oltre 417 ppm nel 2022) è quasi interamente dovuto ad attività umane, come la combustione di combustibili fossili, deforestazione e agricoltura. Studi recenti rigettano claim che minimizzano il ruolo antropogenico, affermando un consenso del 99-100% sul fatto che gli umani siano la causa principale del cambiamento climatico. Critiche specifiche a lavori come questo spesso li associano a prospettive scettiche, pubblicate in riviste non mainstream, e sottolineano che ignorano evidenze isotopiche e bilanci di carbonio che confermano l’origine fossile del CO2 extra.

Le analisi dei dati SST e CO2 atmosferico, acquisiti dal 1995, producono una stima dell’aumento del CO2 atmosferico, possibilmente attribuibile alle emissioni umane, di circa il 20%, o meno, dell’aumento totale dalla rivoluzione industriale, inferendo quindi che circa l’80% o più dell’aumento sia di origine naturale. Un ulteriore esame dei dati punta a una relazione quasi lineare a lungo termine tra SST e CO2 atmosferico almeno dal tardo 1950, e suggerisce che la natura stia lavorando per mantenere un equilibrio CO2 atmosfera/superficie dipendente dalla temperatura. Evidenze storiche recenti di tale equilibrio potrebbero provenire da misurazioni chimiche che indicano un breve picco nei livelli di CO2 atmosferico centrato intorno agli anni ’40, e che coincise con un picco nelle SST globali. Le emissioni umane di CO2 sono circa 1/20 del turnover naturale, e i risultati delle analisi presentate qui suggeriscono che questo contributo umano relativamente piccolo stia essendo prontamente incorporato nei cicli del carbonio della natura mentre essi si adattano continuamente al nostro clima in costante cambiamento. Per quanto riguarda le temperature superficiali, la ricerca di Humlum et al. ha concluso che i cambiamenti nella temperatura atmosferica sono un ‘effetto’ dei cambiamenti nelle SST e non una ‘causa’ come alcuni potrebbero sostenere. E il messaggio chiave di Humlum da una presentazione recente era: ‘Quello che controlla la temperatura superficiale dell’oceano, controlla il clima globale’ [33]. Suggerisce che il sole sarebbe un buon candidato, modulato dalla copertura nuvolosa.

Fonte: Science of Climate Change

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