Giorgio Perinetti, direttore tecnico del Palermo ed ex dirigente di Juventus, Roma e Napoli, ricorda con dolore la figlia Manuela, morta a 34 anni il 29 novembre 2023 a Milano per anoressia. In un’intervista al Corriere della Sera racconta il suo tormento: “Di notte, ancora mi chiedo dove ho sbagliato, dove non ho capito”. La vicenda è diventata anche un libro, Quello che non ho visto arrivare, scritto con il giornalista Michele Pennetti per Cairo Editore. Perinetti ricorda di essersi accorto della malattia durante un Ferragosto: “Io lavoravo ad Avellino, Emanuela era di passaggio a Napoli e pranzammo insieme a Mergellina. Era di una magrezza preoccupante, ma da tempo la giustificava dicendo di avere un cancro che curava con la radioterapia. Quel giorno, mi spiegò che il 22 agosto si sarebbe operata a Montecarlo”. Ma quella “operazione” non esisteva. “Mi agitai, perché era invece previsto che si operasse a Milano a settembre e che ci fossi anch’io, ma lei si impuntò per farlo subito e da sola”. Poi la scoperta: “Un amico mi mandò una foto da Montecarlo: Emanuela era a un evento col principe Alberto e Trezeguet”. Da lì, “capii che qualcosa non tornava” e scoprì “un castello di bugie”:
“Parlai col suo personal trainer, la psicologa, gli amici. Capii che il tumore non esisteva: era una copertura per evitare che io e la sorella le dicessimo che non mangiava. La affrontai, ma mi trovai di fronte un muro. Mi disse che era tutto sotto controllo e che dovevo lasciarla in pace”.
Quando il padre capì la verità, tentò ogni via. “La portai al San Raffaele, le dissero che doveva ricoverarsi subito per un mese, ma lei si rifiutò. Diceva: ‘Io ho da fare, siete pazzi’. Per costringere un adulto al ricovero serve il suo consenso, e io ero schiacciato fra la burocrazia e il senso di impotenza”.
Emanuela si affidò poi a un centro in zona Brera, ma era ormai tardi. “Volle venire a piedi, pur stremata, senza forze. Arrivata, non riuscì a fare le scale: l’ho dovuta portare su a braccia. Questa era la situazione a un mese dalla fine”.
Pochi giorni dopo, cadde in casa. “Per portarla in ospedale, il medico dell’ambulanza dovette inventare che aveva battuto la testa e doveva fare una Tac. Lì, con me, la sorella e gli amici, Emanuela ricominciò lentamente a mangiare. La vedevo strappare la bresaola a piccoli morsi, ma era troppo tardi”. Il ricordo più doloroso resta l’ultimo addio. “Un giorno mi disse: ‘Papà, mi metti ansia. Vai dalla squadra’. Col cuore a pezzi, andai al santuario della Madonna del Divino Amore. Mentre ero via, si aggravò. È morta un’ora prima che arrivassi. Mia figlia ha deciso anche quello: non voleva che vedessi la sua fine”.
Oggi, Perinetti prova a riflettere: “Ancora non so dirlo, ma la pressione sociale, la necessità di performance e controllo esistono. La competitività crea uno stress assoluto. E a una donna si chiede di più: di essere perfetta, elegante, curata. È il doppio di un uomo”.
L’articolo Perinetti e la figlia Emanuela morta di anoressia: “Si era inventata di avere un cancro. Di notte, ancora mi chiedo dove ho sbagliato” proviene da Blitz quotidiano.