‘Speriamo’, il nuovo disco di Venerus con Mahmood e Gemitaiz: “È nato per strati, come un falò”

“Il titolo nasce dal desiderio che il mio lavoro come cantautore possa veramente arrivare alle persone e portare qualcosa di positivo nelle loro vite” racconta Venerus nel salotto di Soundcheck, il vodcast musicale disponibile sul sito web e sui social del nostro giornale, parlando di “Speriamo”, terzo album in studio di una discografia varata nel 2018 che comprende pure un “live” e due Ep. “Sono molto consapevole che il periodo storico sia molto molto difficile, problematico, e pieno di domande. Mi rendo conto che la musica unisce le persone e arriva in profondità creando unità e rendendosi alternativa al sentimento opprimente che proviamo quotidianamente”.

Se il predecessore “Il segreto” era un concept album, questo ha meno vincoli ed è più aperto alle collaborazioni. A cosa si deve questo nuovo stato d’animo?

“Nasce dal senso di viaggio che attraversa tutto il mio percorso: una scoperta continua, fatta di domande su chi sono e dove voglio arrivare. Il secondo disco era un bisogno identitario, il desiderio di registrare come nei grandi album che mi hanno formato, dal vivo, senza collaborazioni. Dopo aver vissuto quella esperienza, ho pensato che il terzo disco dovesse aprire un nuovo varco, sorprendere, rischiare. È più esposto, diverso, ma fedele alla nostra visione. Da qui il coinvolgimento di Mahmood, Cosmo, Mace, Izi, Gemitaiz, Jake La Furia e diversi altri ancora. Oggi mi sento più maturo, sereno, e felice di condividere questo cammino con altri”.

L’incubazione lunga. Cosa cercava?

“Una soddisfazione autentica. Il disco è nato per strati: mesi di soli testi, poi la caccia ai suoni, passando prima attraverso una fase rap, poi una più cantautorale. Era come alimentare un falò: gettavamo dentro idee, stili, tentativi, per capire cosa resistesse al ‘fuoco’ del tempo e cosa no. Finché, quasi d’istinto, ci siamo accorti di aver raggiunto la forma finale. La fine del viaggio”.

Parliamo di riferimenti letterari. Ha detto che dietro a questo disco ci sono state letture quali “Di chi sono le case vuote?” di Sottsass e “I vagabondi del Dharma” di Kerouak

“Il libro di Sottsass mi ha colpito per quella scrittura a diario, intima e confessionale, capace di scivolare con naturalezza dal personale al narrativo. È una libertà che amo e che cerco anch’io nella musica: cambiare registro, genere, prospettiva, passare da immagini lontane da me a emozioni in prima persona. Al tempo, un anno e mezzo fa, tra mattine al bar a scrivere e leggere, quelle pagine mi hanno accompagnato e indicato una possibile direzione. Anche ‘I vagabondi del Dharma’ è arrivato al momento giusto: pur distante nel tempo e nei luoghi, raccontava il mio stesso bisogno di viaggio, di movimento continuo, di ricerca di equilibrio, silenzio e pace interiore. Tutto questo lo porto ora anche a teatro, in uno spettacolo a metà tra racconto e musica, che il 29 novembre porto pure all’Auditorio San Fedele in via Hoepli, per ripercorre la nascita dell’album e ciò che ha smosso dentro e fuori di me”.

Lei è nato a Segrate, cresciuto a San Siro, vissuto prima a Londra e poi a Roma. Cosa l’ha spinta a riportare il suo centro di gravità a Milano?

“A 18 anni sono fuggito da Milano con una grossa sete di mondo, studiando musica in Inghilterra e inseguendo un viaggio di scoperta che, come quello di Ulisse, mi metteva davanti sempre nuove terre da scoprire. Tornare in Italia mi spaventava, finché a Roma, registrando il mio primo disco, ho capito che quella della musica era la mia strada. Una serie di incontri milanesi mi hanno invece capire che potevo rientrare a ‘casa’ senza interrompere il viaggio. Così dal 2018 ho messo radici in Bovisa, dove ho uno studio culla di tutti i miei lavori. Ma anche di performance come quella di quattro giorni alla Stazione Lancetti con cui, ad inizio ottobre, ho annunciato l’arrivo di questo nuovo album. Ma il richiamo del movimento resta vivo”.

Nel 2024 ha debuttato a Sanremo come ospite di Loredana Berté nella serata riservata alle collaborazioni. Che esperienza è stata?

“Forte, fortissima, anzi quasi traumatica per uno timido come me. La musica è sempre stata il destriero su cui affrontare le sfide del mondo e sentirmi scelto da Loredana mi ha dato la spinta necessaria per entrare in quella piccola stanza iper-illuminata. Una settimana fuori dall’ordinario in cui ho provato a capire cosa significa stare davvero sotto ai riflettori. Ma lì ero al servizio di un altro artista: tronare su quel palco con la mia musica la vivrei come una missione molto più impegnativa e questo mi darebbe di sicuro più coraggio, più energia, spingendomi magari ad accusare anche di meno le fatiche un contesto del genere”.