Roma, 12 ottobre 2025 – Un piano incompleto un nuovo Medio Oriente ancora tutto da scrivere. Lorenzo Trombetta, analista di Limes e corrispondente dell’Ansa, spiega perché il Piano Trump potrebbe avere un orizzonte temporale limitato.
Lorenzo Trombetta, domani Trump arriva in Medio Oriente per intestarsi una vittoria. Ma quanto durerà questo piano?
“Spero di sbagliarmi, ma direi da qualche giorno a qualche settimana. Preferisco essere cauto e meno entusiasta”.

Come motiva questa sua prudenza?
“Al momento non ci sono gli ingredienti per una pace duratura, forse nemmeno per un cessate il fuoco prolungato. Ma spero di sbagliarmi, ovviamente”.
Cosa manca?
“C’è l’accordo per lo scambio di prigionieri e il ritiro parziale di Israele dalla Striscia. Ma a parte questo, il Piano Trump è tutto da attuare e manca l’accordo principale sul governo di Gaza. Non è ancora chiaro cosa ne sarà di Hamas, che comunque intende svolgere un ruolo nella Gaza del futuro, anche se non assoluto come è stato fino al 7 ottobre. Questo mi sembra il cuore del problema e, in queste condizioni, l’aggressione militare israeliana può riprendere in qualsiasi momento”.
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Cosa potrebbe determinare un vero cambio di passo, considerando che adesso stiamo parlando di Gaza, ma in Cisgiordania c’è una situazione altrettanto delicata?
“Gaza è in effetti un pezzetto di qualcosa di più ampio, anche se secondo me è il più importante. In Cisgiordania Hamas è presente, ma la forza principale resta l’Autorità Nazionale Palestinese, che, per quanto contestata, è ancora la forza politica prevalente, soprattutto Al Fatah. Le clientele sono così radicate che è difficile sradicarle. Servirebbe, per prima cosa, un vero processo politico intra-palestinese, che però richiederebbe tempo. Si dovrebbe dare ai palestinesi la possibilità di indire elezioni legislative aperte a tutti, parlo sia di Gaza che della Cisgiordania, con osservatori internazionali veri e affidabili. Mandiamoli a votare e vediamo cosa esce: questo sarebbe almeno un inizio”.
Cosa succederà, invece?
“A questa domanda è possibile rispondere solo in parte. La mia impressione è che i vari attori abbiano una percezione del tempo molto diversa fra loro. Trump è sicuramente quello che ha più fretta, perché ha un mandato elettorale di soli quattro anni e le elezioni di medio termine a breve, quindi ha una sorta di bulimia nell’annunciare risultati positivi. Anche Netanyahu ha fretta, ma sa che per lui, sia per la questione giudiziaria sia per quella politica (il prossimo anno in Israele si vota, ndr), prolungare uno stato di guerra sarebbe comunque un beneficio per la sua permanenza al potere. Tanto che nessuno esclude un altro attacco all’Iran pur di ricompattare la coalizione di governo il più possibile”.

E Turchia e Qatar?
“Sono quelli con l’orizzonte temporale più ampio. Vogliono innanzitutto continuare a svolgere un ruolo da protagonisti nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La loro partecipazione al negoziato ha già prodotto successi sui rispettivi fronti. Il presidente turco Erdogan ha ottenuto una serie di concessioni, mentre il Qatar ha strappato agli Stati Uniti un accordo di sicurezza e accresciuto il suo ruolo di mediatore”.