Crisi climatica, in Emilia Romagna il 62% della popolazione è esposta a rischio alluvione

Alluvione Emilia Romagna

Secondo i dati Rendis, il 57% del territorio è classificato a rischio medio e alto. Ma quando piove il territorio sembra sempre impreparato

L’ondata di maltempo che sta flagellando una buona parte della penisola in questi giorni riporta all’attenzione la grande fragilità del nostro territorio rispetto al rischio idrogeologico. Frane e alluvioni fanno parte delle caratteristiche intrinseche del nostro Paese. I numeri di Ispra parlano chiaro: l’8,7% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata e molto elevata; il 15,4% invece è classificato a pericolosità media ed elevata alle alluvioni. Numeri che si riflettono sulla popolazione a rischio. In Italia sono infatti 6,8 milioni i cittadini a rischio alluvione e 1,3 milioni quelli a rischio frana.

Eppure, ogni volta che piove in maniera intensa e si verificano smottamenti ed esondazioni, il territorio sembra essere sempre impreparato all’evento. L’emergenza scatta rapidamente e si attende il passare della perturbazione per iniziare a conteggiare i danni e, purtroppo, le vittime.

Che l’Italia sia troppo spesso in balia dell’emergenza e non sia stata mai brillante in termini di prevenzione è evidente. Ma anche quando si è fatta prevenzione e manutenzione, i conti alla fine non tornano.

Sempre secondo i dati forniti dalla piattaforma Rendis di Ispra, in Italia dal 1999 al 2022 sono stati spesi per la prevenzione del rischio idrogeologico ben 10,57 miliardi di euro per finanziare 11.204 progetti e opere per mitigare il rischio. Di questi ultimi, il 43% (4.834 su 11.204) sono state opere terminate. Al di là di valutare se i soldi siano stati tanti o pochi, è più utile fare una riflessione se quelli che sono stati spesi in questi due decenni hanno portato a una effettiva mitigazione e riduzione del rischio in Italia. La sensazione è che a fronte di un investimento di oltre 10 miliardi di euro e quasi 5mila opere realizzate, il rischio nel territorio sia aumentato.

Vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Sono tre le prime indicazioni su cui riflettere.

  • Le opere sono state meno efficaci rispetto a quanto previsto e progettato perché molte di queste hanno risposto solo alla logica dell’intervento difensivo, “puntuale”, che ha provato a risolvere il problema locale senza considerare ciò che poteva accadere a monte o a valle dell’intervento. Inoltre, la maggior parte delle opere realizzate è stato rigido, infrastrutturale, con l’effetto che ha ingessato ancor di più un territorio fragile che invece andava reso più resiliente e flessibile al verificarsi di eventi impattanti.
  • Gli eventi impattanti vanno inseriti nel più ampio contesto del cambiamento climatico, che sta alterando la distribuzione delle piogge e questo sta incidendo molto sugli effetti che tali variazioni (a cui dovremo abituarci nell’immediato futuro attraverso politiche di adattamento dei territori e delle attività antropiche) hanno sul suolo.
  • Al di là delle opere realizzate, più o meno efficaci come detto precedentemente, il problema è che è mancata negli ultimi decenni una seria politica di governance del territorio. A partire dall’azzeramento del consumo di suolo; il primo tassello fondamentale per non esporre al rischio ulteriori fette della popolazione, ma soprattutto per garantire quella capacità di adattarsi meglio al verificarsi di certi eventi. Non potendo impedire al cielo di piovere (e gli ultimi due anni di siccità ci hanno insegnato quanto sia importante gestire al meglio la risorsa idrica), al fiume di esondare (azione che comporta benefici in termini di fertilità del suolo e apporto di sedimenti lungo la costa) o al versante di franare, l’unica via da perseguire è quella di far si che al verificarsi di tali eventi non comportino danni, sia in termini di vite perse che dal punto di vista economico. E questo è compito della governance del territorio, troppo spesso spezzettata, scoordinata, politicizzata e poco incisiva. Gli strumenti e i soggetti competenti ci sono. Le conoscenze anche. Basta solo saperli far funzionare.

FOCUS EMILIA ROMAGNA E MARCHE

In Emilia-Romagna, rispetto ai dati del Rendis, sono stati messi in cantiere 529 progetti e opere dal 1999 al 2022 (il 4,7% delle opere totali a livello nazionale) di cui 368 risultano concluse. L’importo totale dei soldi destinati alla prevenzione è stato 561 milioni e i lavori ultimati hanno cubato il 45% dell’importo (258 milioni su 561). In Emilia-Romagna 2,7 milioni di persone sono esposte a rischio alluvione (il 62% della popolazione regionale) e circa 87mila persone a rischio frana. Il 57% del territorio è classificato a rischio alluvione media e alta. Nelle Marche gli interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico sono stati 476 tra il 1999 e il 2022, di cui 272 ultimati. L’importo totale stanziato per le opere è di 321 milioni di euro, di cui 161 per i lavori che risultano ultimati. A livello regionale sono circa 80mila i cittadini esposti a rischio alluvione e 33mila quelli a rischio frana. Il 7,8% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata e molto elevata mentre il 2,8% a pericolosità alluvionale media ed elevata.