SONDAGGI/ “Azione perde voti, l’antifascismo di Letta aiuta il centrodestra”

Sondaggi. Calenda (Azione) ha chiuso l’accordo con Letta (Pd), ma così risulterà un partito che fa da stampella al centrosinistra, perdendo – spiega al Sussidiario Enzo Risso, docente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico di Ipsos – parte della sua capacità attrattiva verso i delusi di centrodestra.

FdI, Lega e FI stanno meglio: Salvini e Berlusconi, che si sono mossi all’unisono durante il governo Draghi e alle ultime comunali, hanno dato una fisionomia unitaria al centrodestra anche con la Meloni all’opposizione. Proprio quello che manca a sinistra: i tempi dell’Ulivo di Prodi sono lontani. Insomma, la strategia anti-Le Pen di Letta potrebbe non bastare.

Ad oggi gli italiani sanno cosa votare il 25 settembre?

Il 59% qualche idea ce l’ha, il 41% deve ancora farsela, oppure non ci pensa o non vuole pensarci.

Il Pd, Azione e i centristi accusano Lega, FI e M5s di aver fatto cadere il governo Draghi. Questi partiti risultano penalizzati?

Nella settimana in cui il governo Draghi è caduto, il 48% degli italiani pensava che l’esecutivo fosse ormai arrivato al capolinea, il 52% preferiva invece che andasse avanti. I partiti che lei ha citato lasciano sul campo solo qualche decimale: Lega 0,6%, FI e M5s 1% circa.

Ieri Pd e Azione/+Europa hanno trovato l’accordo. C’è dentro anche Di Maio. A quanto è dato il centro?

Calenda con +Europa si attesta tra il 3,4 e il 3,6%, Di Maio è intorno all’1,2%; Italia viva, fuori dal patto, è al 2,2-2,4%.

Possiamo sommare il 20% del Pd al 5% di questi centristi?

No, normalmente queste somme non funzionano. Innanzitutto bisogna vedere qual è la “risposta” dell’elettorato. Un conto è votare un partito centrista, altro votare un partito che sta all’interno della coalizione di centrosinistra. Potremmo registrare una diminuzione della capacità attrattiva di Azione nei confronti degli indecisi o dei delusi di centrodestra.

Calenda e Bonino restano moderati.

Ma per essere attrattivi non basta dire: siamo moderati e perciò più adeguati a governare; va raccontata agli elettori una proposta “forte” di cambiamento moderato. Tenendo presente un precedente importante.

Quale?

L’unico soggetto politico terzo che dal ’94 in poi ha saputo raccogliere tanti voti è stato il Movimento 5 Stelle, un partito non centrista.

Dunque avremo un centrodestra contro un centrosinistra largo. La sua previsione?

Non ho la sfera di cristallo. Inoltre credo che lei intenda un centrosinistra senza M5s. Se nel centrosinistra comprendiamo anche M5s, abbiamo il centrodestra al 46-47% e il centrosinistra-M5s al 44-45%. Più altre variabili al momento sconosciute.

Ad esempio?

Se Italexit non riuscisse a presentare le firme, sarebbero voti che vanno a Lega o FdI. Ancora: aver trovato un accordo più ampio anti-centrodestra vuol dire contendere più collegi uninominali, ma non vuol dire poter sommare tutti gli elettori potenziali delle forze di centrosinistra che hanno stretto l’accordo. Un pezzo di elettorato sarà scontento.

Come si comporterà?

Potrebbe incrementare le file dell’astensione.

Perché quella somma non si può fare?

Ma perché non basta dire: uniamoci per battere le destre.

C’era un’alternativa?

Fare un percorso politico, con una proposta politica unitaria e un leader alternativo. Per intenderci, l’Ulivo di Prodi nel ’96.

Il centrodestra ha un progetto unitario?

Un progetto unitario no, un senso unitario sì. L’impegno a braccetto di Lega e FI ha consentito al centrodestra di mantenere un’identità e un’idea di coalizione pur sostenendo il governo di unità nazionale e con il terzo partito dell’alleanza (FdI, ndr) fuori dal governo Draghi.

Qual è il consenso dei partiti dello schieramento?

FdI oscilla tra il 22 e il 23%, la Lega tra il 13 e il 14%, FI tra il 9 e il 10%. Dati ovviamente soggetti a continue oscillazioni.

Cosa farà la differenza nelle prossime politiche?

Direi due elementi. Il primo sono le divisioni nel centrosinistra: più sarà diviso sui temi e tra i leader, più sarà facile per il centrodestra vincere nei collegi uninominali.

E il secondo?

Saper raccontare agli italiani un’idea di futuro del Paese.

Un po’ vago.

Meno di quel che si pensi. Intanto è un’idea di futuro che non è l’agenda Draghi. Gli italiani chiedono in maggioranza de-precarizzazione, dunque lavoro stabile, meno pressione fiscale, aumento del potere d’acquisto degli stipendi, certezze sul futuro. E una classe politica che torni a parlare di futuro “lungo”, da qui a 10 anni.

Il Pd, con il supporto della stampa amica, ha polarizzato lo scontro: o noi, argine al fascismo ritornante, o la Meloni.

Quando il governo Draghi è partito il nemico era Salvini, poi la sinistra ha “risemantizzato” l’avversario politico. Anche correttamente, se vogliamo, perché FdI è attualmente il primo partito, come un tempo lo era FI (e il nemico era Berlusconi). È un’operazione alla francese: tutti contro la Le Pen. Sei democratico? Vota chi vuoi, ma non la Meloni.

E questa polarizzazione favorisce o penalizza Lega e FI?

Come sempre in questi casi, mette in ombra chi non è il nemico designato. Ma svantaggia anche i 5 Stelle.

La polarizzazione non rischia di richiamare alle urne i moderati potenzialmente di centrodestra che senza “nemico pubblico” starebbero a casa, penalizzando dunque il Pd?

Capisco quello che intende, e in parte è vero, però lo schema anti-Le Pen a mio avviso può effettivamente richiamare alle urne tanti elettori delusi di centrosinistra e M5s – e teniamo presente che un’ampia parte di ex elettori a 5 Stelle viene da una passata opzione per la sinistra: da Di Pietro alle liste arcobaleno, per intenderci.

Ma questo schema ha dimostrato di funzionare?

In Emilia-Romagna sì: attenti alla Borgonzoni, serrare le fila contro l’arrivo dei barbari.

L’operazione anti-Le Pen quanti voti può sottrarre invece alla Meloni?

Può sicuramente indebolirla, però va tenuto presente che il suo elettorato è quasi tutto ex Pdl: persone che hanno votato prima FI, poi la Lega, ora FdI. E ricordiamo che c’è un 30% di elettori di centrodestra che può spostarsi tra FdI, FI e Lega molto facilmente. Cambiando idea anche 3-4 giorni prima del voto.

Quindi Letta con il suo schema francese potrebbe paradossalmente togliere consensi alla Meloni, aiutando Lega e FI?

A mio modo di vedere, sì.

Restiamo nel centrodestra. Cosa può dirci del dibattito sul premier?

Il 67% dell’elettorato di centrodestra preferirebbe come presidente del Consiglio una personalità terza, non uno dei tre leader di partito, Meloni, Salvini o Berlusconi. Quindi una figura della società civile, oppure una personalità proveniente da un’esperienza di governo locale, comunale o regionale.

Come si spiega?

Gli elettori di centrodestra sono convinti che il leader di uno dei tre partiti, facendo il premier, alimenterebbe una competizione permanente all’interno della compagine di governo. Non solo. È aumentata la consapevolezza che il grande difetto delle persone che vengono da esperienze diverse dalla politica è quello di sentirsi investite di una missione che non gli compete. La politica è fatta di mediazione.

Qual è, dal punto di vista sociale, il dato più significativo che vuole raccontarci?

La parsimonia è un tratto che contraddistingue ormai più del 65% degli italiani. E dentro il restante 35% ci sono anche persone che non si pongono il problema della parsimonia perché non hanno i soldi per farlo.

Vuol dire che si aspettano tempi molto difficili. C’è la consapevolezza che in autunno arriverà una crisi senza precedenti?

È chiaro a tutti che la botta dell’aumento dei prezzi arriverà tra ottobre e dicembre, ma non c’è la piena comprensione della gravità che dice lei. Usciamo da due anni pesanti, ora chi può pensa alle vacanze, ma lo fa, come detto, in modo più oculato. Ed è un approccio che riguarda tutto il ceto medio.

(Federico Ferraù)

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