Famiglie, case e identità spezzate: il nuovo romanzo di Fatma Aydemir è un inno alla complessità della vita

I romanzi familiari, spesso, esplorano le pieghe dell’animo umano e disegnano mappe del mondo. Le famiglie – reali o di fantasia – sono microcosmi che narrano della società in trasformazione e questi testi raccontano madri, padri, fratelli e sorelle che sussurrano esodi, appartenenze negate, identità in costruzione. I nuclei familiari portano gioie e dolori, a volte ferite che ci portiamo dentro. Le case, invece – simboliche o vere – sono il luogo in cui vogliamo restare, da cui vogliamo scappare o che desideriamo riconquistare.

Nel nuovo episodio de “Il piacere della lettura”, abbiamo incontrato Fatma Aydemir, scrittrice e giornalista tedesca di origine turca, per parlare del suo secondo romanzo “Tutti i nostri segreti” (Fazi). Un libro che inizia con una morte, ma che in realtà è un inno alla complessità della vita. Ambientato tra Istanbul e la Germania del 1999, il romanzo segue i fili spezzati e intrecciati della famiglia di Hüseyin ed Emine e dei loro figli: Ümit, Sevda, Peri, Hakan. Capitoli che portano i loro nomi, ogni vita merita di essere narrata nella sua interezza.

La copertina del libro di Fatma Aydemir
La copertina del libro di Fatma Aydemir

Aydemir ci racconta che tutto è nato dall’urgenza di dare voce a una generazione che sta sparendo: quella dei suoi nonni, tra i primi migranti turchi in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una generazione che ha affrontato silenzi, ostilità, e ha costruito mondi paralleli tra nostalgia e sopravvivenza. “Non parlavano di ciò che subivano – dice – e ora che se ne stanno andando, sento il dovere di raccontarli”.

Uno dei simboli più potenti del romanzo è la casa. Quella che si cerca, si perde, si costruisce o si rifiuta. “La casa – ci dice Aydemir – rappresenta l’appartenenza, e per chi è emigrato è un tema centrale”.

Per Ümit, uno dei figli, la famiglia è “l’aria per respirare e il cappio intorno al collo”. Aydemir non edulcora: “La famiglia ci protegge, ci definisce, ma è anche il luogo da cui provengono molte delle nostre ferite più profonde”.

E se la famiglia può essere rifugio o prigione, il padre resta una figura centrale e controversa. “Il padre come lo conosciamo è ancora una figura mitologica – spiega Aydemir – simbolo di autorità e potere. Ma il patriarcato non lo mantengono solo gli uomini. Anche alcune donne lo rafforzano, lo rendono struttura. Serve una rieducazione collettiva”.

La cultura, però, rimane un’arma potente. Lo è stata per le sorelle Sevda e Peri, che attraverso la scuola hanno trovato libertà e orizzonti nuovi. “L’istruzione è una conquista recente per le donne, e resta lo strumento più forte per emanciparsi”, dice Aydemir.

E poi c’è il perdono. Non quello da manuale, ma quello complesso, imperfetto, che ogni personaggio affronta a modo suo. “Il perdono non è un obbligo, ma può essere un modo per non restare incatenati all’amarezza”, riflette la scrittrice.

Alla fine della puntata, come da tradizione, chiediamo ad Aydemir un consiglio di lettura. Cita un regalo recente: una raccolta teatrale di Sarah Kane. “Mi scuote, mi fa ridere, mi fa provare schifo. La sento con tutto il corpo. La consiglio a chi ama il black humor e le storie d’amore tragiche”.

E in fondo, è proprio questo che fanno le buone storie: ci fanno sentire. A volte, anche a casa.