Milano, 8 luglio 2025 – “Riprogettare una città per renderla più resiliente ai cambiamenti climatici richiede costi e tempo, ma è un investimento: la prima cosa da fare è creare una mappa del rischio costantemente aggiornata e metterci in sicurezza”. A inquadrare la sfida è Stefano Capolongo, direttore del dipartimento di Architettura, Ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito del Politecnico di Milano e professore di Urban health e Hospital design.
Nubifragi, raffiche di vento, ondate di calore: come possono difendersi le nostre città?
“Prima di tutto occorre dotarsi di strumenti che vadano a monitorare e a misurare le situazioni a rischio. Lo abbiamo fatto con i nostri ponti, installando sensori permanenti, dobbiamo estendere sistemi di monitoraggio alle infrastrutture di trasporto, agli edifici complessi, agli alberi, per avere una visione a 360 gradi delle problematiche connesse a benessere, sicurezza e salute senza rincorrere le emergenze”.
Un piano costoso e lungo?
“In realtà no. Ci aiutano molto l’analisi dei dati e i sistemi digitali: dobbiamo mettere insieme dati disaggregati che possono indicarci le priorità su cui investire nel breve e nel lungo termine. Le tecnologie per il monitoraggio non sono poi così costose. Deve entrare più nella cultura. Il cambiamento climatico non è un problema di oggi: ce ne siamo accorti un po’ tardi, ma stiamo accelerando e mettendo in campo le energie che abbiamo sviluppato”.
Partiamo dagli ultimi nubifragi: come limitare i danni?
“Per esempio penso agli spazi pubblici e alle “piazze inondabili“. Le nostre città sono densamente costruite, dobbiamo lavorare su spazi interstiziali, che siano in grado di assorbire gli effetti del clima dirompenti e incontrollabili. Gli spazi pubblici devono essere studiati sia per la stagione estiva che invernale: resta il valore della piazza, per favorire la coesione sociale, ma viene dotata di vasche e sistemi drenanti in grado di raccogliere l’acqua e rilasciarla nel terreno gradualmente, ostacolando anche il dissesto idrogeologico”.
Può servire anche per periodi di siccità?
“Sì, dobbiamo abituarci ai due estremi di troppa acqua e “zero acqua“. Serve un sistema di raccolta per rispondere a un problema di sostenibilità. Disperdiamo ancora il 50% di acqua potabile, la utilizziamo per qualsiasi uso. L’acqua piovana recuperata può servire per mettere in sicurezza le città, per la prevenzione di incendi, per irrigare e per i sistemi industriali. E c’è un altro tema strettamente connesso alla sicurezza e ai cambiamenti climatici”.
Quale?
“Quello della salute. I cambiamenti climatici sono correlati a nuove epidemie, anche la sanità pubblica è interessata. Tutti questi disequilibri generano la produzione di virus e batteri. Per avere aree metropolitane più resilienti bisogna dotarsi anche di nuove professionalità che sappiano pianificare, unendo gli aspetti sociali, ambientali e di economia della città. Promuoviamo l’Health city manager per gestire tutti i piani della città, compreso il piano di salute delle persone. Non dimentichiamo che il 58% della popolazione mondiale vive nelle città e si stima che nel 2050 oltre il 70% abiterà nelle aree urbane. E tende a invecchiare”.
Come invecchiano edifici e piante. Altro aspetto da tenere sotto controllo: il verde.
“Serve un monitoraggio con sistemi “Gis“ per le piante ultracentenarie, per avere un censimento rapido e una gelocalizzazione delle situazioni a rischio. In questi casi bisogna intervenire con la sostituzione: il verde è fondamentale per ridurre le isole urbane di calore, per la salute mentale (e ci sono studi scientifici che lo dimostrano), per abbattere le polveri sottili. La mia idea è dieci vie alberati all’anno, come la Parigi di Haussmann, ma vanno controllate”.
Non basta piantumarle: quali piante sono più resistenti e dove posizionarle?
“Meglio piante autoctone, sceglierle studiando anche le radici per evitare che siano pericolanti cinque o sei anni dopo, depavimentare le piazze o usare materiale poroso, che consenta di fare trapassare l’acqua”.
Altre sfide nelle città sempre più verticali come Milano: vento e irraggiamento solare. Lo stiamo vedendo anche tra i grattacieli di City Life.
“Nella Galleria del vento del Politecnico si analizza la capacità di resistere a forte sollecitazioni e a fenomeni non così calcolabili. Bisogna inserire anche sui nuovi progetti sistemi che in tempo reale mostrino l’efficacia degli interventi fatti per ridurre i rischi e indicare linee guida per i futuri sistemi di progettazione e di verifica. Ed è necessario responsabilizzare chi progetta, investire nella formazione e nella cultura della sicurezza e diffondere su larga scala, con il coinvolgimento delle amministrazioni locali, linee guida che rispondano al tempo che cambia”.