Eni citata in causa, “era consapevole dal 1970 dei rischi climatici delle fossili”

impianto petrolio - metano

Greenpeace Italia e ReCommon fanno causa a Eni per aver contribuito al cambiamento climatico pur conoscendo dal 1970 i rischi dell’uso delle fossili, come rivela un rapporto reso pubblico dal Guardian. È il primo caso di contenzioso climatico in Italia

Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno notificato a Eni S.p.A. un atto di citazione per una causa civile nei confronti della società, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (in qualità di azionisti che esercitano un’influenza sulla società) per le conseguenze dannose dei cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito, pur consapevole fin dal 1970 dei danni e dei rischi associati all’utilizzo di fonti fossili.

Come riportato sul Guardian da Stella Levantesi, le accuse si basano su uno studio commissionato dall’Eni tra il 1969 e il 1970 al suo centro di ricerca Isvet, condiviso poi con il Guardian dal servizio no-profit di notizie sul clima DeSmog. Il rapporto indicava chiaramente che, se non controllato, l’aumento dell’uso di combustibili fossili avrebbe potuto portare a una crisi climatica nel giro di pochi decenni. “Si presume che con l’aumento del consumo di combustibili fossili, iniziato con la rivoluzione industriale, la concentrazione di CO2 raggiungerà le 375-400 [parti per milione o ppm] nell’anno 2000″, si legge nel rapporto. “Questo aumento è considerato da alcuni scienziati come un possibile problema a lungo termine, soprattutto perché potrebbe modificare l’equilibrio termico dell’atmosfera portando a cambiamenti climatici con gravi conseguenze per la biosfera”.

Guardian rende noto che Greenpeace Italia e ReCommon hanno anche portato alla luce un rapporto del 1978 prodotto dalla società Tecneco dell’Eni, che includeva una proiezione dell’aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera entro la fine del secolo. Secondo un’analisi del Climate Accountability Institute, l’Eni si è classificata al 24° posto tra le major mondiali del petrolio e del gas per le emissioni di anidride carbonica e metano dal 1950 al 2018.

Greenpeace Italia e ReCommon hanno annunciato la causa civile in una conferenza stampa a Roma martedì, alla vigilia dell’assemblea generale annuale dell’Eni. I gruppi affermano che intendono depositare la causa presso il tribunale civile di Roma entro il 19 maggio.

La prima climate litigation in Italia

Stando a quanto si apprende da Greenpeace Italia,  #LaGiustaCausa – questo il nome della campagna che promuove l’iniziativa legale contro Eni, la prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia – si inserisce tra le climate litigation, azioni di contenzioso climatico, il cui numero complessivo, a livello globale, è più che raddoppiato dal 2015 a oggi, portando il totale di cause a oltre duemila. Tra queste, spicca l’azione legale promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), insieme a Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e 17.379 singoli co-ricorrenti, che nel maggio 2021 ha indotto un tribunale dei Paesi Bassi a stabilire che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di carbonio del 45% entro il 2030.

Greenpeace Italia e il gruppo italiano di advocacy ReCommon chiederanno al Tribunale di Roma l’accertamento “del danno e della violazione dei diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata”. Gli attori che hanno intentato la causa chiedono inoltre che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5° C. Viene chiesta anche la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di Eni, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi.