In Italia, dicono i due consorzi di raccolta, si raccolgono a mala pena 80.000 tonnellate di oli alimentari usati e di frittura, ma il Gse informa che se ne usano 464.000 come biocarburante. Quasi 400.000 vengono importate dalla Cina. I conti non sembrano “green”
Il diesel al 100% rinnovabile di Eni Sustainable Mobility sbarca in 50 stazioni di servizio del gruppo Eni, hanno annunciato trionfalmente ieri agenzie, giornali e siti web. È vero o è greenwashing? Si tratta di biodiesel rinnovabile o di olio di palma grezzo camuffato, causa di deforestazione?
Le stazioni di servizio con gasolio tutto rinnovabile diventeranno presto 150 e il nuovo prodotto “HVOlution — spiega Stefano Ballista, ceo di Eni Sustainable Mobility sul Corriere della Sera — già da oggi può dare un contributo importante alla decarbonizzazione della mobilità, anche del trasporto pesante”. Si produrrà nelle prime due bioraffinerie Eni di Porto Marghera e Gela (Caltanissetta), costa dieci centesimi in più del diesel normale perché le materie prime hanno un prezzo maggiore e i costi di produzione sono più alti.
Quindi è possibile muoversi tutto rinnovabile senza cambiare il proprio diesel? Quindi non è vero che si deve passare all’elettrico come ci impone l’Unione europea entro il 2035 per le auto e il 2040 per i camion? Per rispondere si dovrebbe conoscere da quale materia prima o scarto si produce l’HVOlution.
Secondo la scheda prodotto (sito Eni) “tutti i feedstock utilizzati da Eni per la produzione di HVOlution nel corso del 2022 rientrano nella definizione di materie prime rinnovabili ai sensi della Direttiva (UE) 2018/2001 cd. “REDII”. Tutto nella legge. Ma la legge cosa consente? Sempre secondo il Corriere della Sera: “Recentemente dal Kenya è arrivato nella bioraffineria di Gela il primo carico di olio vegetale prodotto nell’agri-hub di Makueni, mentre a Venezia Porto Marghera è arrivato il primo carico di olii di frittura esausti. L’obiettivo è coprire il 35% dell’approvvigionamento delle bioraffinerie Eni entro il 2025”. Nella vasta regione agricola di Makueni, in Kenia a metà strada tra Nairobi e Mombasa, il sito di Eni attesta di aver coinvolto 25 mila agricoltori nella produzione di semi di ricino, di croton e di cotone per estrarre olio vegetale. Il progetto porterà alla produzione di 2.500 tonnellate di oli nel 2022 e a regime 15.000 tonnellate. Il 35% dell’approvvigionamento delle bioraffinerie Eni entro il 2025 (230 mila tonnellate su 650 mila) significa creare altri 15 hub come Makueni in Kenya, Mozambico e Congo. Legambiente, per questo, ha chiesto ad Eni una valutazione dell’impatto complessivo sull’uso del suolo agricolo e sui mercati agroalimentari locali. Inoltre l’azienda non parla più della produzione di olio di ricino nelle zone semidesertiche della Tunisia, cosa è andato storto? Ma da dove arriva il contributo maggiore all’HVOlution? Indubbiamente dagli oli vegetali usati. In Italia nel 2021, secondo il Gse, ben 465.000 tonnellate, quasi un terzo del biodiesel immesso sul mercato “bio e rinnovabile”, pari ad 1,5 milioni di tonnellate su un consumo totale di gasolio pari a 22 milioni di tonnellate.
In Italia si raccolgono (ci informano i due Consorzi RenOils e Conoe) circa 80.000 tonnellate di Uco (oli alimentari usati e di frittura) da ristoranti e Comuni, meno di 50.000 dei quali viene venduto anche ad Eni per farne biodiesel. Quasi 400.000 vengono importate dalla Cina. Il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica controlla le certificazioni d’origine solo dei consorzi nazionali. Secondo voi, cari lettori, il commerciante cinese che ha acquistato olio di palma non certificato, non è tentato di provare a valorizzarlo in “doppia contabilità” rinnovabile sul mercato dei Cic (certificati immissione al consumo) in Italia, magari facendolo entrare nella Comunità Europea in accordo con una o più bioraffineria spagnola, bulgara o austriaca? È quel che viene documentato nell’ultimo report Gse sulle rinnovabili nei trasporti. L’olio di palma nel biodiesel è greenwashing, multato dall’Autorità (Agcom), come confermato anche da sentenza del TAR.
A nostro parere quindi le “vere” rinnovabili nei trasporti ammontano oggi a meno del 3% dei consumi totali e per un terzo, circa l’1%, è la quota rinnovabile attribuibile al trasporto elettrico: principalmente treni, metropolitane, tram e 300.000 auto e furgoni elettrici. L’energia elettrica però soddisfa il 7% dei viaggi di passeggeri e il 15% delle merci. Con l’elettricità si fa molto di più con molto meno.