Il significato della Pasqua, dagli ortodossi agli ebrei: è festa globale. Ma le bombe oscurano la resurrezione

Roma, 19 aprile 2025 – Pasqua. Per gli ebrei, la festa della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto; per i cristiani di tutte le confessioni, festa della Resurrezione del Cristo e, in lui, della liberazione del genere umano dalla morte eterna. Oggi coincidono la Pasqua cattolica e riformata, quella ortodossa e orientale, e si conclude la Pasqua ebraica iniziata 8 giorni fa. La forma assunta nella tradizione ebraica e in quella cristiana che la riprende in gran parte di una solennità antichissima, celebrata con differente significato religioso da molte culture: il ritorno della primavera, la resurrezione della natura, la festa della pace e dell’amore.

Pasqua 2025. Radio, tv, giornali fanno l’elenco trionfale delle colombe e delle uova acquistate: censurati solo gli agnelli macellati, per evitare le ire degli animalisti. Festa comunque dei consumi: e quando si consuma qualcosa di bello e di buono, significa che celebriamo qualcosa di grande.
Ma i consumi sono, appunto, un “significato”. Quale dovrebbe essere il “significante”, in questo giorno di festa? Ohimè, la liberazione dalla schiavitù, simbolo addirittura di quella dalla morte, sono dimenticate e disattese.
Pochi giorni fa, un raid aereo su Gaza ha fatto nuove vittime, tra cui molti bambini. E il Papa, che non ha potuto assistere alla Via Crucis al Colosseo, ha parlato di un “mondo a pezzi”. Che significato hanno le nostre uova e le nostre colombe? Dal momento che stiamo dimostrando una memoria terribilmente corta, ricominciamo dal principio.

La parola italiana “Pasqua” deriva dal greco Páscha, adattamento dell’ebraico Pessah a partire dal quattordicesimo giorno del mese di Nisan, primo mese del calendario religioso e settimo di quello civile. Tale plenilunio segna l’equinozio di primavera: il segno del mese di marzo-aprile e del segno zodiacale dell’Ariete, segno del Sacrificio e associato all’agnello pasquale che si consuma durante la cena solenne del Séder, la prima sera della festa che si svolge poi nei sette-otto giorni successivi, e il rito della quale si svolge secondo il testo della Haggadah e nella memoria dei fatti ricordati dal secondo libro della Bibbia, l’Esodo.

I cristiani ripresero in buona parte la cerimonia ebraica, compresa la consumazione rituale dell’agnello (associato all’eucarestia) e del pane azzimo: e dopo molte polemiche tra le loro varie “Chiese” – cioè le comunità rette da un epìscopos, un “ispettore” – decisero di spostare la celebrazione dal giorno del plenilunio (che variava di anno in anno, secondo il ciclo lunare) alla domenica che immediatamente lo seguiva. Ciò spiega perché la Pasqua cristiana può essere celebrata, variando ciascun anno, tra il 22 marzo e il 15 aprile. Chi volesse saperne di più, potrebbe utilmente consultare il libro di Adriano Cappelli, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, edizioni Hoepli (continuamente aggiornato).

Quanto alle differenze tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese occidentali da una parte e quelle ortodosse e orientali nelle loro variabili nate con lo “Scisma d’Occidente” dall’altra, esso dipende dal fatto che entrambe continuavano originariamente a utilizzare la celebre riforma calendariale voluta da Giulio Cesare e quindi il “Calendario giuliano”, che era solare. Ma esso era stato calcolato in un modo che comportava un’eccedenza temporale che, sommandosi anno dietro anno, aveva condotto a uno scarto al quale ordinò di porre rimedio papa Gregorio XIII con la bolla Inter gravissimas del 24 febbraio 1582, entrata in vigore in tutti i Paesi che la riconobbero il 5 ottobre successivo. In pratica, lo scarto è di una decina di giorni tendente al rialzo: il primo giorno dell’anno secondo il calendario giuliano, mantenuto dalle Chiesa ortodosse e orientali, cadeva il 1° gennaio dal 1583 che però, per chi aveva adottato quello gregoriano, era l’11 del medesimo mese; oggi il 1° gennaio “giuliano”, cioè ortodosso e orientale, cioè cattolico e riformato. Ciò per le feste cristiane che (come il Natale e l’Epifania) seguono il calendario “solare” e quindi hanno un giorno fisso. Ma la Pasqua e le altre feste seguono il calendario “lunare” d’origine non romana bensì ebraica ed hanno pertanto un carattere mobile in quanto i mesi solare e lunare non si equivalgono: tali feste sono la Pasqua, l’Ascensione quaranta giorni dopo, la Pentecoste cinquanta. L’incrociarsi dei calendari “giuliano” e “gregoriano”, solari entrambi, e di quello “lunare” della Pasqua e delle feste da essa derivate ha creato questo corto circuito.

La Modernità ha semplificato tutto, implicitamente negando ogni valore alle feste religiose. Al livellamento moderno corrisponde la prevalente mentalità dei giorni nostri. Se l’agnello non ci rinvia più né alla liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto né al Sacrificio del Cristo che ha liberato l’umanità dalla morte spirituale, allora l’agnello è solo una povera bestia massacrata inutilmente. E perché mai gli israeliani non dovrebbero bombardare gli ospedali di Gaza, o i russi quelli di Sumy? La guerra ha una sua logica, i riti religiosi fantasia. Ma il consumismo continua: quello rende. Giù, quindi: con le bombe, gli agnelli e le uova.