La telefonata della pace: oggi Trump sente Putin sull’Ucraina. “Colloquio su territori e centrali”

Roma, 18 marzo 2025 – È il giorno della telefonata che tutti vorrebbero spiare. Donald Trump e Vladimir Putin in chiamata intercontinentale. La seconda tra i due leader dopo quella del 12 febbraio. Sulla linea protetta tra Washington e Mosca correranno le parole che possono orientare il conflitto in corso e decidere il destino dell’Ucraina. L’Ucraina è il Paese aggredito dalla Russia 37 mesi fa, ora trascinato al tavolo da Trump più con le cattive che con le buone, in attesa di capire se esistono i margini per una pace “duratura”. È il risultato minimo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky caldeggia qualora un’effettiva negoziazione sbocciasse, mentre sale a 30 il numero dei Paesi “volenterosi” (Ue ed extra Ue) pronti a supportare Kiev.

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epa11792170 Russian President Vladimir Putin speaks on the phone with Margarita Rutsinskaya, a 10-year-old girl from the Belgorod region, as part of the New Year Tree of Wishes nationwide charity campaign, in St. Petersburg, Russia 24 December 2024. EPA/ALEXANDER KAZAKOV / SPUTNIK / KREMLIN / POOL

Il contatto odierno tra il tycoon e lo zar ha per oggetto l’ipotesi di un cessate il fuoco di 30 giorni sottoscritta a Gedda dalla delegazione ucraina e soppesata per una settimana dal Cremlino senza rompere con la Casa Bianca ma chiedendo precisazioni (chissà se in arrivo oggi). Visto da Trump, l’appuntamento nasce con queste premesse: “Stiamo andando abbastanza bene, credo, con la Russia. Vedremo se avremo qualcosa da annunciare. Parlerò con il presidente Putin. Vogliamo vedere se riusciamo a porre fine a questa guerra. Forse ci riusciremo, forse no, ma credo che abbiamo ottime possibilità”.

Le parole del tycoon dall’Air Force One, al ritorno dal weekend a Mar-a-Lago, dicono tutto e il suo contrario, ma con una distinguibile vena di ottimismo che il grande comunicatore dalle maniere spicce si premura di evidenziare. The Donald offre anche un minimo di dettagli: il “molto già discusso da entrambe le parti”, la divaricazione sui territori “molto diversi da prima della guerra” (compresa l’apertura su una Crimea russa), le valutazioni avviate “sulla divisione di alcuni beni” (su tutti la centrale nucleare di Zaporizhzhia). Trump è il primo a volere risultati. Perché in questi primi 60 giorni di presidenza, il suo indice di gradimento è solo al 47% (secondo l’Nbc).

Il Trump bisognoso di smalto è un vantaggio per Putin che non ha problemi di gradimento né di sondaggi. Zelensky spinge per la tregua, per far rifiatare le sue truppe assai provate (vedi strage di blindati durante la ritirata dal Kursk). Mosca, assai tonica sul campo, non vorrebbe dare questo vantaggio a Kiev e soprattutto ne teme il riarmo (sponsorizzato da quasi tutta l’Ue) nonché i progressi nei droni e nella missilistica (come dimostra il test del Neptune capace di arrivare a Mosca). La Russia chiede che l’Ucraina abbandoni le ultime postazioni nel Kursk, rivendica l’incorporazione dei quattro oblast ucraini conquistati militarmente (al pari della Crimea annessa nel 2014) e pretende Kiev fuori dalla Nato. Apre al peacekeeping internazionale ma solo con “osservatori disarmati” di paesi Brics come Cina, Brasile e Turchia (l’Italia insiste su una missione Onu).

Viceversa, Kiev non intende sottoscrivere concessioni territoriali, pretende la restituzione dei bambini deportati, è pronta a rinunciare al sogno Nato ma solo in presenza di garanzie concrete di sovranità, indipendenza, esercito forte e protezione internazionale. La compartecipazione di Washington ai tesori minerari di Kiev non significherebbe difatti escludere che Putin voglia normalizzare e gestire il Paese. Zelensky (ieri invitato al prossimo G7 in Canada) resta in attesa e intanto riparla coi principali alleati. Come il presidente francese Emmanuel Macron che rilancia le ambizioni per “una pace duratura in Ucraina e Europa” e per “un piano che impedisca alla Russia di attaccare nuovamente”. “Siamo a dieci iarde dalla pace”, è l’evocativo proclama di Karolin Leavitt, portavoce di Trump, mentre il Capo raccoglie gli applausi di Mosca per il congelamento dei fondi a Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty, storiche voci anti Cremlino. Una cortesia all’amico Vlad, nel nuovo mondo capovolto.