L’Istat certifica una fotografia impietosa dell’Italia nel suo Rapporto annuale presentato oggi alla Camera dal presidente Francesco Maria Chelli. L’istituto certifica un Paese in forte difficoltà, con un Pil in frenata, una perdita reale dei salari negli ultimi cinque anni ed un calo della produttività che in 20 anni che ha portato ad una perdita del 5,8% del Pil. E ancora: cresce in Italia la povertà specialmente al Sud e prosegue la fuga dei giovani laureati dall’Italia con il 36,5% della popolazione che vive sola.
Famiglie sempre più piccole, il 36,5 % sono persone sole
Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate. Nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2% delle famiglie e le coppie con figli scendono al 28,2%. Secondo il Rapporto Istat, tra le cause instabilità coniugale, bassa fecondità e posticipo della genitorialità. L’aumento delle persone sole interessa tutte le età, ma soprattutto gli anziani. Quasi il 40% delle persone di almeno 75 anni vive da solo, in prevalenza donne. Famiglie ricostituite, coppie non coniugate, genitori soli non vedovi e persone sole non vedove rappresentano oggi il 41,1% delle famiglie, segnando una trasformazione strutturale nella geografia familiare del Paese.
In Italia il 23,1% popolazione è a rischio povertà o esclusione
In Italia quasi un quarto della popolazione, il 23,1%, è a rischio povertà o esclusione sociale (+0,3 punti sul 2023). Al Sud la percentuale sale di un punto e tocca il 39,8%. L’indicatore riguarda le persone che hanno almeno un fattore di rischio tra la povertà (un reddito inferiore al 60% di quello mediano), la grave deprivazione materiale e la bassa intensità di lavoro. L’Istat sottolinea che il rischio di povertà ed esclusione sociale cresce per gli individui che vivono in famiglie il cui principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (dal 28,4% al 30,5% del totale).
L’Istat certifica l’impietosa fotografia dell’Italia: salari giù del 10% in 5 anni, il 36,5% della popolazione vive solo (foto Ansa) – Blitz Quotidiano
Tra 2019 e 2024 salari reali hanno perso il 10,5%
Le retribuzioni contrattuali hanno perso tra il 2019 e il 2024 il 10,5% del potere d’acquisto a causa della forte crescita dei prezzi. Il Rapporto annuale chiarisce però che per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente (quelli che tengono conto degli accordi aziendali e individuali e dei cambiamenti della composizione dell’occupazione) la perdita del potere d’acquisto “è stata più contenuta e pari al 4,4% in Italia”, superiore al 2,6% della Spagna e all’1,3% della Germania. Nel 2024 nel settore privato dell’economia la produttività del lavoro si è ridotta del 2% (-0,2% quella del capitale).
L’istituto sottolinea che la produttività del lavoro per occupato nel 2024 si è ridotta dello 0,9% e dell’1,4% per ora lavorata “come risultato dell’espansione dell’occupazione maggiore rispetto a quella del valore aggiunto”. Nell’anno, l’occupazione è cresciuta dell’1,5% con 352mila unità in più. In disoccupati si sono ridotti di 283mila unità mentre il tasso di disoccupazione è calato al 6,5%.
Il dato sulla produttività, hanno spiegato i ricercatori, è legato alla composizione dell’occupazione che ha visto la crescita del lavoro ni settori ad alta intensità di lavoro e a bassa produttività come il turismo e la ristorazione. La perdita del potere d’acquisto per le retribuzioni contrattuale è stata rilevante soprattutto a fine 2022 quando ha raggiunto il 15% mentre è scesa nel periodo successivo toccando a febbraio l’8,7%. E’ risalita al 10% a marzo 2025.
Guardando al reddito reale da lavoro per occupato (compresa quindi l’occupazione indipendente), l’Istat segnala che nel 2024 “è più elevato rispetto al 2014, anno di minimo dopo la grande recessione degli anni precedenti, ma più basso del 7,3% rispetto al 2004 (-5,8% per i dipendenti) per la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione con riduzioni per tutte le classi di età”.
Cala il reddito da lavoro, quello familiare in 10 anni è cresciuto del 6.3%
Nonostante il calo del reddito da lavoro, precisa l’Istituto, tra il 2004 e il 2024 il reddito familiare equivalente “è aumentato del 6,3%, grazie ai cambiamenti demografici (in particolare la riduzione della quota delle famiglie con figli), all’aumento del numero di componenti occupati e alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione”. In pratica il reddito reale da lavoro per occupato si è ridotto ma quello delle famiglie è cresciuto grazie al fatto che in molti casi è entrato in casa un secondo stipendio e che la famiglia è meno numerosa.
Una persona su dieci rinuncia alle visite specialistiche
Nel 2024 un italiano su dieci (9,9%) ha riferito di avere rinunciato negli ultimi 12 mesi a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa e per la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie. I dati presentati dall’Istat testimoniano l’affanno della sanità pubblica: la rinuncia a prestazioni vitali per la prevenzione e la cura è in crescita sia rispetto al 2023, quando era al 7,5%, sia rispetto al periodo pre-pandemico quando il dato era 6,3%, “soprattutto per l’aggravarsi delle difficoltà di prenotazione”. Secondo il documento, nel 2024 la spesa pubblica per prestazioni sanitarie è salita a 130,1 miliardi dai 123,767 miliardi del 2023.
Italia al top tra i paesi Ue per danni economici da eventi climatici
L’Italia è tra i Paesi europei maggiormente colpiti per perdite economiche dovute ad eventi climatici estremi: nel periodo 1980-2023, si colloca al secondo posto nell’UE27 con circa 134 miliardi di euro, dopo la Germania con 180 miliardi e prima della Francia con 130 miliardi. Lo evidenzia l’Istat nel suo rapporto annuale ricordando che il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre a livello globale dal periodo pre-industriale, il secondo in Europa dopo il 2020 e in Italia dopo il 2022. ·Dal 2005 al 2024 l’Italia ha triplicato la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili raggiungendo circa 130 Twh, contro quasi 380 in Germania, oltre 160 in Spagna e 150 in Francia; in questi ultimi due Paesi, tuttavia, il nucleare – considerato energia pulita – concorre rispettivamente per altri 55 e 380 TWh.
Cresce la quota di energia prodotta dalle rinnovabili
Cresce nel contempo la quota di produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili, trainata soprattutto dal fotovoltaico. Nel 2024 questa ha rappresentato il 49,0 per cento del totale, contro circa il 16,1 per cento nel 1990 e circa il 40 per cento nel 2014. A confronto con il 2014 sono cresciute le quote dell’eolico e soprattutto del fotovoltaico, mentre si sono ridotte quelle delle altre fonti. L’idroelettrico, nonostante un calo della quota di quasi 10 punti percentuali, continua a rappresentare circa il 40 per cento della produzione delle rinnovabili, seguito dal fotovoltaico e dall’eolico.
Tra il 2008 e il 2023 in Italia il livello del Pil è cresciuto dell’1,4 per cento in termini cumulati, ma si sono ridotte le pressioni sull’ambiente generate dal sistema economico: del 23,1 per cento il Consumo di energia delle unità residenti, di oltre il 32 per cento le Emissioni climalteranti (cosiddetti gas a effetto serra) e di circa il 40 per cento il Consumo materiale interno.
Pil frena nel 2025 per via dell’incertezza geopolitica
“Le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale”. È scritto nel rapporto facendo riferimento alle stime di crescita fra cui quelle del Fmi (+0,4%) e Banca d’Italia e Mef (+0,6%) contro lo 0,7% registrato nel 2024. Le prospettive per il 2025 – spiega l’istituto statistico – sono condizionate “dalle possibili evoluzioni delle tensioni geopolitiche internazionali che rendono ogni previsione soggetta ad ampi margini di incertezza”.
Istat nota anche il “netto miglioramento” dei conti pubblici con la discesa dell’indebitamento netto dal 7,2% al 3,4% del Pil e un debito cresciuto di sette decimi al 135,3%, meno di quanto stimato da Psb e Commissione europea, per la spesa per interessi (2 decimi) e la ridotta crescita del Pil.
Nel 2024 -4% produzione industria, peggio solo la Germania
Nel 2024 la produzione industriale in volume (corretta per i giorni lavorativi) in Italia è diminuita del 4% rispetto al 2023, quando già era calata del 2%. Lo scrive l’Istat, spiegando che per l’Ue a 27 si è avuta una riduzione del 2,4% e che, fra le maggiori economie europee, la contrazione della produzione industriale nel 2024 ha riguardato soprattutto l’Italia e la Germania, dove il calo ha raggiunto il 4,6%, e solo marginalmente la Francia (-0,1%), mentre in Spagna si è avuto un aumento dello 0,5%. Il raggruppamento di industrie più colpito in Italia, spiega Istat, è stato quello dei beni strumentali, componente ciclica legata agli investimenti, con una contrazione rispetto all’anno precedente pari al 5,7% in Italia e al 5,5 in Germania. La contrazione in termini congiunturali in Italia è andata rallentando, da -2% nel primo trimestre 2024 a -0,5 nell’ultimo, mentre nel primo trimestre del 2025 la produzione è cresciuta dello 0,4%, per la prima volta dal secondo trimestre del 2022.
Produttività in calo, -5,8% di Pil per occupato in 20 anni
L’occupazione in Italia, nel 2024, è cresciuta “a un ritmo sostenuto” con un +1,6%, ma soprattutto in settori a bassa produttività, basso contenuto tecnologico e alto impiego di forza lavoro, come costruzioni, ricettività, servizi alla persona. Una dinamica che si riflette in un calo di ben il 5,8% del Pil per occupato in Italia fra il 2000 e il 2024, contro una crescita dell’11-12% in Francia, Germania e Spagna.
l’Istat, nel Rapporto annuale 2025, nota anche un Pil per ora lavorata aumentato fra il 2000 e il 2024 “di appena lo 0,7%, condizionando negativamente la dinamica salariale”: un incremento “molto modesto sia rispetto all’esperienza storica sia a confronto con le altre maggiori economie dell’Ue”, su cui pesano caratteristiche del sistema produttivo italiano come le ridotte dimensioni d’impresa, la specializzazione, il contenuto innovativo relativamente modesto delle produzioni. Secondo l’Istat nel 2024 nel settore privato la produttività del lavoro si è ridotta del 2%, quella del capitale dello 0,2% e la produttività totale dei fattori, indicativa del contributo degli elementi immateriali all’incremento dell’efficienza, dell’1,3%.
Perdita di potere acquisto sui salari a marzo 10% sul 2019
Rispetto a gennaio 2019 la perdita del potere d’acquisto per dipendente a fine 2022 era superiore al 15% e a marzo 2025 è pari al 10%. Lo afferma il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli nella sua relazione alla Camera per la ‘presentazione del Rapporto annuale sottolineando che le retribuzioni nominali non hanno ancora recuperato pienamente il loro valore rispetto all’inflazione. Per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente che includono gli effetti degli accordi integrativi e dei cambiamenti della composizione dell’inflazione la perdita del potere d’acquisto è più contenuta e pari al 4,4 in Italia, al 2,6% in Francia, all’1,3% in Germania mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9%.
L’80% della crescita dell’occupazione riguarda over 50
Nel 2024 è proseguita la crescita dell’occupazione la cui stima si attesta a 23,9 milioni (+352mila unità). Lo si legge nel Rapporto annuale dell’Istat che precisa che l’80% della crescita (285mila unità in più) è dovuta all’aumento degli occupati con 50 anni e oltre. Il dato è legato alla stretta sull’accesso alla pensione che ha trattenuto più a lungo al lavoro ma soprattutto alle tendenze demografiche con i baby boomers e i nati nei primi anni 70, coorti molto più numerose di quelle successive, che hanno superato questa soglia di età.
Persi 97mila giovani laureati in 10 anni. I due terzi dei 18-34enni vivono ancora in famiglia
L’Italia ha visto emigrare negli ultimi 10 anni circa 97mila giovani laureati con un record nel 2024 e l’uscita di 21mila giovani con un alto livello di istruzione. Lo ha detto il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli presentando alla Camera il Rapporto annuale. “Il 1° gennaio 2025, la popolazione residente in Italia è ormai sotto i 59 milioni. La diminuzione, in atto dal 2014, è dovuta a una dinamica naturale fortemente negativa; la natalità continua a calare, nel 2024 si sono registrate solo 370mila nascite, e la fecondità ha toccato il minimo storico di 1,18 figli per donna sfavorita dalla riduzione del numero di donne in età fertile e dal crescente rinvio della genitorialità”.
Chelli ha proseguito: “Resta elevata la quota di 18-34enni che continuano a vivere nella famiglia di origine, circa due terzi, contro una media europea del 49,6 per cento. La difficoltà di raggiungere l’indipendenza economica ostacola l’autonomia e ritarda tutte le tappe dei giovani verso l’età adulta, genitorialità compresa”.
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