
In corso le audizioni al Senato, Legambiente chiede poche e chiare modifiche per sottoporre gli impianti siderurgici a valutazione di impatto sanitario e ambientale. E che sia rimosso lo “scudo penale”
di Lunetta Franco, presidente Legambiente Taranto
e Maria Maranò, segreteria nazionale Legambiente
Al Senato in questi giorni si discute l’ennesimo decreto Salva-Ilva di Taranto. Abbiamo perso il conto del numero dei decreti che si sono succeduti da quando, il 26 luglio 2012, la magistratura jonica sequestrò gli impianti dell’area a caldo del siderurgico. Allora tutto il Paese scoprì finalmente le condizioni disastrose, a scapito della salute dei cittadini oltre che dei lavoratori e dell’ambiente, in cui per decenni era stata garantita la “strategica” produzione dell’acciaio a ciclo integrale, il più inquinante. Salvaguardare il lavoro e l’ambiente è stato il motivo conduttore con cui sono stati giustificati tali decreti. Alla luce dei fatti, dopo circa 11 anni, non si è riusciti a salvaguardare né il lavoro (le continue manifestazioni dei lavoratori lo dimostrano) né la salute e né l’ambiente (lo dimostrano vari e autorevoli studi epidemiologici oltre che gli episodi di picchi di benzene cancerogeno o la pericolosità delle polveri industriali che si registrano nel quartiere Tamburi).
In questi anni abbiamo sentito tante parole in libertà, dichiarazioni pompose su come in un futuro, spostato sempre più avanti, potrà diventare sostenibile uno stabilimento considerato strategico. Ma non è mai stato presentato un piano industriale che desse garanzie sul fronte ambientale, sanitario e lavorativo. Questo decreto targato governo Meloni non solo segue le orme di alcuni decreti passati, ma compie un ulteriore salto di qualità nello sbilanciamento verso la produzione dell’acciaio, senza curarsi di introdurre norme a tutela della salute.
A maggio del 2019 il Ministero dell’Ambiente, su richiesta del sindaco di Taranto, dispose il Riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (l’Aia). Tale decreto prevede la valutazione del danno sanitario in riferimento sia a sei milioni di tonnellate annue di acciaio, corrispondenti alla produzione attualmente autorizzata, sia a 8 milioni di tonnellate annue di acciaio previste a compimento degli interventi prescritti nell’attuale Aia.
Ebbene, a distanza di quasi 4 anni non se ne sa niente. Sappiamo solo che la Valutazione del Danno Sanitario prodotta a maggio del 2021 da Arpa Puglia e Asl di Taranto attesta la permanenza di un rischio sanitario non accettabile in uno scenario di produzione di 6 milioni di tonnellate annue ottenuta con gli attuali impianti. Aspettiamo che si levi qualche voce autorevole per chiedere conto al Ministero dell’Ambiente che fine abbia fatto la procedura di riesame dell’Aia.
Pur consapevoli della complessità della vicenda Ilva, siamo anche profondamente convinti che possono fare tutte le forzature possibili con i decreti legge ma, finché non sarà garantita la salvaguardia della salute e dell’ambiente, quell’impianto siderurgico continuerà a rimanere precario, non garantirà né lavoro né futuro allo stabilimento, semmai continuerà solo ad acuire fratture sociali e istituzionali.
Finché non sarà garantita la salvaguardia della salute e dell’ambiente, quell’impianto siderurgico continuerà a rimanere precario
Legambiente nell’audizione al Senato ha chiesto poche e chiare cose. La prima richiesta è che sia introdotta nel decreto una norma per sottoporre anche gli impianti siderurgici alla valutazione di impatto sanitario nell’ambito della valutazione di impatto ambientale. Perché va stabilito con il massimo rigore scientifico quanto acciaio si possa produrre a Taranto senza danni alla salute dei lavoratori e dei cittadini. E poi è stata chiesta la soppressione di ben quattro articoli perché contengono norme ingiustificate e incostituzionali. Infatti, non solo si ripropone lo “scudo penale” per l’ex Ilva, già oggetto di sentenza da parte della Corte Costituzionale e di intervento del Parlamento, ma lo si estende nientemeno a chiunque garantisca la prosecuzione dell’attività industriale. Limitano anche la valutazione del singolo caso da parte del magistrato spostandola al Tribunale di Roma, sottraendo così la decisione al giudice naturale precostituito.
Se i senatori si facessero guidare dagli articoli 25 e 41 della Costituzioni l’ultimo decreto “Salva-Ilva” sarebbe rivoltato come un calzino
Abbiamo ricordato ai senatori che l’articolo 25 della Costituzione recita “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” e che l’articolo 41, circa un anno fa, è stato così modificato “L’iniziativa economica privata …. non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Se si facessero guidare da questi due articoli l’ultimo decreto “Salva-Ilva” sarebbe rivoltato come un calzino.