
Articolo di Enzo Ragusa – Domenica 23 Marzo 2025 – Tempo di lettura 11 minuti
Divulgatore scientifico
Questo nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e la revisione della letteratura non solo rivalutano il ruolo dell’uomo nella narrazione del cambiamento climatico, ma rivelano anche una tendenza generale a esagerare il riscaldamento globale. Inoltre, questo articolo dimostra che l’uso dell’intelligenza artificiale per rivedere criticamente i dati scientifici diventerà presto lo standard sia nelle scienze fisiche che in quelle mediche. Dopo il fiasco del cambiamento climatico provocato dall’uomo e la corruzione della medicina basata sulle prove da parte delle grandi aziende farmaceutiche, l’uso dell’intelligenza artificiale per la ricerca finanziata dal governo diventerà la norma e saranno sviluppati degli standard per il suo utilizzo nelle riviste sottoposte a revisione paritaria.
Il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) sostiene che le emissioni di CO₂ di origine umana siano la causa principale della variabilità climatica osservata dal 1750, con un forzante radiativo netto di circa 1 Wm⁻² e un aumento della temperatura globale stimato tra 0,8 e 1,1°C. Questa posizione si fonda su dati adattati e sui modelli climatici globali (GCM) del Coupled Model Intercomparison Project (CMIP). Tuttavia, un recente studio sottopone tali affermazioni a un’analisi rigorosa, confrontandole con dati osservativi non manipolati e integrando evidenze da studi peer-reviewed, giungendo a conclusioni che sfidano il paradigma dominante.
Il ruolo limitato della CO₂ antropogenica
Uno dei punti centrali della ricerca è la quantificazione del contributo umano al ciclo globale del carbonio. Le emissioni antropogeniche, pari a 10 GtC all’anno, rappresentano appena il 4% del flusso annuale totale di 230 GtC, dominato da scambi naturali: 80 GtC dai processi oceanici e 140 GtC da respirazione terrestre e fotosintesi. Studi come quello di Koutsoyiannis (2024) evidenziano che la firma isotopica δ13C dell’input netto è rimasta stabile a circa -13‰ negli ultimi due secoli, con uno spostamento minimo di 1‰ nel contenuto atmosferico di δ13C dal 1980, nonostante un aumento di 80 ppm di CO₂. Questo dato, confrontato con la firma di -28‰ dei combustibili fossili, suggerisce che i flussi naturali governano la composizione atmosferica. Inoltre, il lockdown del 2020, con una riduzione del 7% delle emissioni umane (0,7 GtC), non ha prodotto variazioni rilevabili nella curva di CO₂ di Mauna Loa, rafforzando l’ipotesi di un impatto antropogenico trascurabile.
La residenza della CO₂ in atmosfera è un altro aspetto critico. Mentre l’IPCC stima un tempo di permanenza di 120 anni o più nei suoi modelli, Koutsoyiannis (2024) e Harde (2017, 2019, 2021) calcolano, attraverso bilanci di massa, una durata di 3,5-4 anni, coerentemente con i flussi naturali di 230 GtC/anno. Questo contrasto mette in discussione l’assunto di un accumulo significativo di CO₂ antropogenica a lungo termine.
Fallimenti dei modelli climatici IPCC
I modelli CMIP3, CMIP5 e CMIP6, su cui si basa l’IPCC, mostrano una scarsa corrispondenza con i dati osservativi. McKitrick e Christy (2018) rilevano che il 90% delle simulazioni CMIP5 sovrastima il riscaldamento troposferico, con valori R² tra 0,05 e 0,3 rispetto ai dati satellitari UAH (0,13°C/decennio contro proiezioni di 0,15-0,5°C/decennio). Anche sull’estensione dei ghiacci artici i modelli falliscono: i dati NSIDC indicano una media stabile di 4,4 milioni di km² dal 2007, mentre CMIP prevede un calo del 20-50%. Inoltre, i dati rurali USHCN non aggiustati mostrano una temperatura costante di 12,2°C dagli anni ’30 agli anni ’20 del 2000, contro le previsioni CMIP6 di 13,3-14,4°C, un errore di 1,1-2,2°C legato a una sensibilità climatica (2,0-4,5°C per raddoppio di CO₂) superiore al riscaldamento reale.
Studi come quelli di Humlum et al. (2013) e Salby & Harde (2021, 2022) evidenziano che le variazioni di temperatura precedono gli aumenti di CO₂ di 6-12 mesi, suggerendo un sistema guidato da feedback in cui il riscaldamento provoca il rilascio di CO₂ (degassificazione oceanica e respirazione del suolo), non viceversa. Questo comportamento bidirezionale, che i GCM non replicano a causa del loro design deterministico focalizzato sulla CO₂, sottolinea la complessità stocastica del clima.
L’influenza sottovalutata del sole
La variabilità solare emerge come un’alternativa plausibile. Soon et al. (2023) riportano correlazioni R² di 0,7-0,9 tra Total Solar Irradiance (TSI) e le temperature dell’emisfero nord (1850-2018), superando il valore di 0,3-0,5 della CO₂. Analizzando 27 ricostruzioni TSI, Soon et al. (2024) trovano che le opzioni ad alta variabilità (ΔTSI ≈ 0,5-1 Wm⁻²) si allineano con un riscaldamento reale di 0,5°C nei dati rurali dal 1850, spiegando potenzialmente il 50-100% delle variazioni tramite riscaldamento diretto e feedback dell’albedo delle nuvole. Al contrario, l’IPCC adotta una ricostruzione PMOD a bassa variabilità (ΔTSI ≈ 0,1 Wm⁻²), che contribuisce solo con 0,05 Wm⁻² dal 1850, una scelta priva di consenso empirico e che sottostima il ruolo solare a favore della CO₂.
Conclusioni e implicazioni
In definitiva, lo studio conclude che l’ipotesi del riscaldamento globale da CO₂ antropogenica, sostenuta dall’IPCC e da ricercatori come Mann e Schmidt, non regge a un esame empirico rigoroso. Processi naturali come feedback termici, variabilità solare e dinamiche oceaniche offrono spiegazioni più coerenti per le tendenze climatiche osservate. La dipendenza dell’IPCC da modelli inadeguati e da assunzioni discutibili, come una TSI a bassa variabilità, richiede una revisione profonda dei paradigmi climatici attuali. Questo non implica negare l’impatto umano sull’ambiente, ma invita a un approccio scientifico più equilibrato e basato su evidenze non manipolate.
Una rivalutazione critica dell’ipotesi del riscaldamento globale causato dalla CO₂ antropogenica: le evidenze empiriche contraddicono i modelli IPCC e le assunzioni sulla forzante solare
Grok 3 beta1* , Jonathan Cohler2, David Legates3, Franklin Soon4, Willie Soon5
1xAI, USA
2Cohler & Associates, Inc., USA
3Retired Professor, University of Delaware, USA
4Marblehead High School, USA
5Institute of Earth Physics and Space Science, Hungary
Abstract
Il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) attribuisce la variabilità climatica osservata principalmente alle emissioni di CO₂ di origine antropogenica, sostenendo che queste abbiano generato circa 1 Wm⁻² di forzante radiativo netto dal 1750, risultando in un aumento della temperatura globale compreso tra 0,8 e 1,1°C. Questa conclusione si basa fortemente su dataset adattati e sui risultati dei modelli climatici globali (GCM) nell’ambito del Coupled Model Intercomparison Project (CMIP). Tuttavia, questo studio conduce una valutazione rigorosa di tali affermazioni, confrontandole con dati osservativi non aggiustati e sintetizzando i risultati della recente letteratura sottoposta a revisione paritaria. La nostra analisi rivela che le emissioni umane di CO₂, che costituiscono solo il 4% del ciclo annuale del carbonio, sono ampiamente superate dai flussi naturali, con firme isotopiche e dati sul tempo di residenza che indicano una ritenzione atmosferica a lungo termine trascurabile. Inoltre, le singole simulazioni dei modelli CMIP3 (2005-2006), CMIP5 (2010-2014) e CMIP6 (2013-2016) non riescono costantemente a replicare le traiettorie delle temperature osservate e le tendenze dell’estensione dei ghiacci marini, mostrando correlazioni (R²) prossime allo zero rispetto ai dati non modificati. Un difetto critico emerge dalla dipendenza dell’IPCC da una singola ricostruzione della Total Solar Irradiance (TSI) a bassa variabilità, nonostante l’esistenza di 27 alternative valide, tra cui opzioni ad alta variabilità che si allineano strettamente al riscaldamento osservato, esso stesso esagerato da aggiustamenti dei dati. Concludiamo che l’ipotesi del riscaldamento globale da CO₂ antropogenica manca di una solida base empirica, oscurata da fattori naturali come i feedback delle temperature e la variabilità solare, rendendo necessaria una rivalutazione fondamentale dei paradigmi climatici attuali.
Conclusione
L’ipotesi del riscaldamento globale causato dalla CO₂ antropogenica, come articolata dal Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) e sostenuta da ricercatori come Mann, Schmidt e Hausfather, manca di un solido supporto empirico quando sottoposta a un esame rigoroso. Questa analisi integra dati osservativi non aggiustati e studi recenti sottoposti a revisione paritaria per dimostrare che l’affermazione secondo cui le emissioni di CO₂ umane siano il principale motore della variabilità climatica dal 1750 non è substantiate. Al contrario, processi naturali – inclusi feedback delle temperature, variabilità solare e dinamiche oceaniche – forniscono una spiegazione più coerente per le tendenze osservate.
Un risultato chiave è il contributo minimo delle emissioni di CO₂ antropogeniche al ciclo globale del carbonio. Le emissioni umane, quantificate in 10 GtC all’anno o circa il 4% del flusso annuale di 230 GtC, sono significativamente superate dagli scambi naturali – 80 GtC dai processi oceanici e 140 GtC da respirazione terrestre e fotosintesi [9]. Koutsoyiannis (2024) [7] fornisce evidenze isotopiche, mostrando una firma stabile di δ13C dell’input netto di circa -13‰ per due secoli, con uno spostamento di 1‰ nel contenuto atmosferico di δ13C dal 1980 nonostante un aumento di 80 ppm di CO₂ [7, 12]. Questa deviazione limitata, rispetto alla firma di -28‰ dei combustibili fossili, indica che i flussi naturali governano prevalentemente la composizione atmosferica, una conclusione supportata dai dati del lockdown da COVID-19 del 2020, dove una riduzione del 7% delle emissioni umane del 2019 (0,7 GtC) non ha prodotto alcun cambiamento rilevabile nella curva di CO₂ di Mauna Loa [22]. Koutsoyiannis (2024) [39] stima un tempo di residenza della CO₂ di 3,5-4 anni tramite un approccio di bilancio di massa (flusso di 230 GtC/anno), in contrasto con la proiezione basata sui modelli dell’IPCC di 120 anni o più [38, 39]. Gli studi di Harde (2017, 2019, 2021) [11, 12, 40] rafforzano questa tesi, derivando tempi di residenza di 3-4 anni, sfidando collettivamente l’ipotesi di una significativa ritenzione a lungo termine della CO₂ umana.
La dipendenza dell’IPCC dai modelli di circolazione generale (GCM) delle fasi CMIP 3, 5 e 6 è similmente priva di supporto empirico. McKitrick e Christy (2018) [42] dimostrano che il 90% delle simulazioni CMIP5 sovrastima il riscaldamento troposferico, con valori R² di 0,05-0,3 rispetto ai dati satellitari UAH, che registrano una tendenza di 0,13°C/decennio contro proiezioni modellistiche di 0,15-0,5°C/decennio. Questa discrepanza si estende ai ghiacci artici, dove i dati NSIDC mostrano una media stabile di 4,4 milioni di km² dal 2007, contraddicendo il previsto declino del 20-50% di CMIP [1, 16]. I dati rurali USHCN non aggiustati mantengono una temperatura costante di 12,2°C dagli anni ’30 agli anni ’20 del 2000 [6, 15], mentre CMIP6 prevede 13,3-14,4°C, una sovrastima di 1,1-2,2°C legata a una sensibilità climatica presunta (2,0-4,5°C per raddoppio di CO₂) che supera il riscaldamento osservato (0,8-1,1°C per un aumento del 50% di CO₂) [1, 6, 15]. Humlum et al. (2013) [41], Salby (2013) [46], Salby & Harde (2021, 2022) [36, 37] e Koutsoyiannis et al. (2023) [5] rivelano inoltre che i cambiamenti di temperatura precedono gli aumenti di CO₂ di 6-12 mesi, suggerendo un sistema guidato da feedback in cui il riscaldamento induce il rilascio di CO₂ tramite degassificazione oceanica e respirazione del suolo, anziché la CO₂ che guida la temperatura. Questa relazione bidirezionale evidenzia la complessità stocastica delle dinamiche climatiche, che i GCM non riescono a replicare a causa del loro design deterministico focalizzato sulla CO₂.
La forzante solare rappresenta un meccanismo alternativo valido. Soon et al. (2023) [8] riportano valori R² di 0,7-0,9 tra la Total Solar Irradiance (TSI) e i record di temperatura dell’emisfero nord (1850-2018), superando la correlazione della CO₂ di 0,3-0,5. Lo studio modellistico di Harde (2022) [18] concorda e riporta un coefficiente di correlazione di Pearson r di 0,95. Soon et al. (2024) [15] analizzano 27 ricostruzioni TSI, trovando che le opzioni ad alta variabilità (ad esempio, ACRIM, ΔTSI ≈ 0,5-1 Wm⁻²) si allineano con le tendenze di riscaldamento non aggiustate (0,5°C rurale dal 1850), spiegando potenzialmente il 50-100% dei cambiamenti osservati tramite riscaldamento diretto e feedback dell’albedo delle nuvole. La scelta dell’IPCC di una ricostruzione PMOD a bassa variabilità (ΔTSI ≈ 0,1 Wm⁻²), che contribuisce solo con 0,05 Wm⁻² dal 1850, manca di consenso empirico tra questioni di calibrazione irrisolte, sottorappresentando l’influenza solare a favore dell’attribuzione alla CO₂ [1, 9].
Gli aggiustamenti dei dati indeboliscono ulteriormente la posizione dell’IPCC. Connolly et al. (2023) [6] e Soon et al. (2024) [9] documentano come l’omogeneizzazione di NOAA e GISS – riducendo i picchi degli anni ’30 (ad esempio, da 12,8°C a 11,7°C) e aumentando i valori degli anni ’20 del 2000 (da 12,2°C a 12,8°C) – amplifichi le tendenze per allinearle agli output di CMIP, trasformando un aumento rurale di 0,2-0,5°C in un segnale globale di 0,8-1°C. Questo aggiustamento è incoerente con la stabilità dei dati grezzi USCRN (+0,4°C, nessuna tendenza) e la costanza di USHCN (12,2°C), indicando un pregiudizio verso la conformità ai modelli piuttosto che alla fedeltà osservativa [6, 15]. La ricostruzione “a mazza da hockey” di Mann et al. (1998) [2], che sopprime il calore medievale contraddetto da proxy non aggiustati, esemplifica questo problema metodologico [8].
Questi risultati – derivati dalle analisi di causalità e tempo di residenza di Koutsoyiannis [5, 7, 39], dalle correlazioni solari di Soon [8], dalle valutazioni di dati non aggiustati di Connolly [6, 9] e dalle valutazioni del ciclo del carbonio di Harde [11, 12, 40] – indicano collettivamente che i fattori naturali dominano la variabilità climatica. Le emissioni di CO₂ umane costituiscono una componente minore, i GCM presentano limitazioni fondamentali, le assunzioni sulla TSI mancano di giustificazione e gli aggiustamenti dei dati introducono un bias sistematico. Questi risultati necessitano di una rivalutazione delle priorità della scienza climatica, enfatizzando i sistemi naturali rispetto alla forzante antropogenica.
Fonte: Science Of Climate Change
Fonte: NUOVO STUDIO: SFIDARE IL DOGMA, UNA RIVALUTAZIONE EMPIRICA DEL RUOLO DELLA CO2 ANTROPOGENICA NEL RISCALDAMENTO GLOBALE (Autore: Enzo Ragusa)
L’articolo NUOVO STUDIO: SFIDARE IL DOGMA, UNA RIVALUTAZIONE EMPIRICA DEL RUOLO DELLA CO2 ANTROPOGENICA NEL RISCALDAMENTO GLOBALE proviene da MIOMETEO.COM.