Andrea Sempio esce dalla caserma. Spalle rigide, sguardo basso, mascella serrata. Il respiro corto, il passo di chi sa che qualcosa di irreversibile è appena accaduto. Il linguaggio del corpo non mente: è il terrore di chi capisce che un frammento di DNA può riscrivere il suo destino. Il DNA è il nuovo oracolo della giustizia, la prova regina che non ha bisogno di un movente, di un alibi, di una logica. E’ come un codice fiscale: dice chi sei, ma non cosa hai fatto.
Fin da subito abbiamo creduto di sapere chi fosse l’assassino di Chiara Poggi. Un colpevole, una sentenza, un capitolo chiuso. Oggi, un altro nome, un’altra traccia genetica, una certezza che si sgretola. Una traccia dice dove sei stato, ma non sempre
racconta il perché. Non distingue un contatto accidentale da una lotta per la vita.
Andrea Sempio non è un volto nuovo. Frequentava casa Poggi, utilizzava il computer della famiglia ed era amico del fratello di Chiara. Il suo DNA è stato rinvenuto sul margine ungueale. Ma se basta questo per riscrivere un processo, allora i dubbi di oggi dovevano essere gli approfondimenti di ieri. Il rischio, altrimenti, è che ogni innocente si trasformi un colpevole in attesa. C’è un altro risvolto della medaglia, la vittima. Se vogliamo sapere chi ha ucciso Chiara Poggi, non bisogna guardare solo la scienza. Occorre guardare Chiara. La vittimologia ci insegna che ogni omicidio è un dialogo interrotto tra vittima e carnefice. Capire Chiara significa capire chi l’ha uccisa e perché. Bisogna ricostruire i ruoli che Alberto e Andrea hanno avuto nella sua vita. Perché la genetica forense può dirci chi è passato sulla scena del crimine, ma solo la criminologia ci dice chi ha deciso di restarci.
Dieci anni fa Alberto Stasi è stato condannato. Il ragazzo che parla di un omicidio come se fosse una notizia letta al telegiornale, il ragazzo che dice “credo abbiano ucciso una persona” ma non dice il suo nome, non dice “Chiara”. Il ragazzo che ha mostrato un controllo perfetto davanti alla morte. Il linguaggio del corpo di chi non lascia tracce, né sul pavimento né sotto le scarpe. Nessuna certezza assoluta, ma quantomeno una sequenza di indizi perfettamente allineati in una logica criminale.
Oggi tutto si ribalta.
Andrea Sempio ha mediaticamente preso il suo posto, in apparenza senza movente e senza dinamica, ma con la discutibile conservazione di uno scontrino e altrettante opinabili chiamate all’utenza Poggi. Se basta questo per rimettere in discussione una sentenza, allora nessuna verità è definitiva. Se oggi la giustizia non cerca più una storia, ma solo un codice genetico, allora non sta cercando la verità. Sta solo cercando un altro colpevole.