Quattro ergastoli e una condanna a 22 anni, per i giudici di appello tutta la famiglia ha ucciso Saman Abbas

Nessuno ha mai confessato l’omicidio e tutti si sono accusati a vicenda. Ma per i giudici di appello tutta la famiglia è responsabile di aver ucciso Saman Abbas. Quattro anni dopo la morte della ragazza pachistana di Novellara, ribaltando in buona parte la sentenza di primo grado e accogliendo l’impostazione dell’accusa, la Corte di Bologna ha confermato l’ergastolo per i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, ha inflitto l’ergastolo anche ai due cugini, Noman Ulhak e Ikram Ijaz, che erano stati assolti e scarcerati dopo la prima decisione. La corte ha anche alzato a 22 anni la condanna per lo zio Danish Hasnain che ha collaborato, evitando in questo modo l’ergastolo, facendo ritrovare il cadavere. Sono state riconosciute anche le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, escluse dalla sentenza di Reggio Emilia.

Dopo circa tre ore di camera di consiglio, nella giornata di ieri, venerdì 18 aprile, il collegio dell’assise di appello ha letto il dispositivo in un’aula gremita di giornalisti, fotografi e cameraman. La lettura è stata accolta in silenzio. Poco prima, una decina di donne, sia avvocatesse di parte civile, sia semplici cittadine tra cui l’ex sindaca di Novellara Elena Carletti, avevano esposto un cartello scritto in lingua urdu: “Se domani tocca a me voglio essere l’ultima”.

I manifesti scritti in lingua urdu esposti durante il processo di Sabban Abbas
Quattro ergastoli e una condanna a 22 anni, per i giudici di appello tutta la famiglia ha ucciso Saman Abbas (nella foto Ansa i manifesti scritti in lingua urdu) – Blitz Quotidiano

La storia di Saman Abbas, la giovane pakistana che si è opposta ad un matrimonio combinato

La storia di Saman inizia a Mandi Bahauddin, in Pakistan, il 18 dicembre 2002. Arrivata nel 2016 a Novellara in provincia di Reggio Emilia, ha trovato la sua fine vicino alla casa dove viveva la famiglia e da cui voleva fuggire. Si faceva chiamare Italiangirl sui social, non accettava le regole e le tradizioni delle sue origini, voleva farsi una vita sua, vivere liberamente, non sposare un parente in patria in un matrimonio combinato.

È diventata un simbolo, suo malgrado. Una ribelle inconsapevole, l’ha definita il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci, nella requisitoria di primo grado. Voleva girare senza velo, senza restrizioni, frequentare chi desiderava. Sogni interrotti per sempre in una notte di primavera, tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, quando è stata assassinata, probabilmente strozzata, nel vialetto davanti a casa e sepolta in una buca profonda tre metri, dentro un casolare diroccato, a poche centinaia di metri dall’abitazione familiare.

Qui è stata trovata, dopo essere stata cercata in lungo e in largo, in un giorno di novembre di un anno dopo. A dire dove era stata deposta, è stato lo zio Danish Hasnain, l’uomo indicato dal fratello di Saman come l’esecutore materiale del delitto ma che a più riprese ha affermato la propria innocenza per l’omicidio. Danish era stato fermato in Francia, dove era fuggito, a settembre 2021. Prima di lui era stato preso il cugino Ikram Ijaz, sempre nel paese transalpino, mentre l’ultimo dei tre ad essere preso era stato Noman Ulhaq, il secondo cugino della vittima, in Spagna. Poco prima del ritrovamento del cadavere è stato arrestato in Pakistan il padre, Shabbar Abbas, l’ultima è stata la madre, a maggio 2024. Entrambi sono stati estradati, con provvedimenti storici: mai era successo che il Paese asiatico consegnasse i propri cittadini accusati dall’autorità giudiziaria italiana. Shabbar è arrivato nel corso del processo di primo grado, Nazia alla fine di agosto 2024, quando era già stata condannata all’ergastolo.

In aula hanno pianto, hanno negato in tutti i modi di aver ucciso la figlia. Hanno accusato gli altri, hanno smentito le dichiarazioni del loro altro figlio, il fratello minore di Saman che per l’accusa era un testimone chiave. Anche se la sostituta pg Silvia Marzocchi ha sostenuto che il quadro indiziario era già sufficientemente forte, pure senza le sue parole. Il giovane ha preferito non assistere alle ultime udienze. Nazia, la madre di Saman, è invece rimasta a lungo seduta a capo chino, ascoltando la traduzione dell’interprete. Poche reazioni dagli altri due imputati detenuti, padre e zio. I due cugini sono usciti rapidamente dall’aula Bachelet e poi sono rimasti fuori dal palazzo, insieme ai loro avvocati. Sono e rimangono, per il momento, a piede libero.

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