Secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, “è assolutamente sbagliato associare qualsiasi movimento delle forze armate russe nel territorio del nostro Paese” a ipotetici piani per attaccare l’Ucraina. Secondo il capo dell’intelligence ucraina Kyrylo Budanov, le cose stanno diversamente: “Mosca sta preparando un attacco all’Ucraina entro la fine di gennaio”, ha dichiarato in una recente intervista a Military Times. La verità, probabilmente, sta nel mezzo, il che rende estremamente incerta la situazione lungo il confine tra Russia e Ucraina, dove la crisi del Donbass non è mai stata risolta e in negoziati sono in un vicolo cieco.
L’allerta per le intenzioni della Russia si è accesa a causa del recente e massiccio spostamento di truppe russe vicino al confine con l’Ucraina. Si parla di oltre centomila soldati fatti confluire a nord, est e sud del Donbass, la regione ucraina dal 2014 sotto il controllo dei separatisti sostenuti da Mosca. Gli Stati Uniti sono particolarmente allarmati da questi movimenti insoliti: secondo funzionari dell’esercito e dell’intelligence Usa, le manovre potrebbero essere il presagio di un’operazione militare sul fianco orientale del Paese. Per settimane Washington ha condiviso informazioni con i partner della Nato e gli alleati europei; i briefing – sottolinea la Cnn – sono andati molto oltre rispetto al passato in termini di livello di allarme e specificità.
Già nella primavera scorsa Mosca aveva ammassato decine di migliaia di soldati al confine, mandando in fibrillazione Washington e le cancellerie europee. Ma rispetto alla crisi di aprile, ridimensionata a “esercitazione conclusa” dopo una telefonata tra Biden e Putin, questa volta gli esperti temono che una de-escalation sia più complicata. L’amministrazione Biden – riporta la stampa americana – sta valutando l’invio in Ucraina di consiglieri militari e nuove attrezzature, armi comprese. Il pacchetto potrebbe includere sistemi di difesa aerea, lanciamissili anticarro Javelin e missili Stinger, ma anche attrezzature originariamente destinate all’Afghanistan come gli elicotteri Mi-17.
Una decisione non è ancora stata presa, ma per Mosca è funzionale il solo fatto che se ne parli. Gli Usa e altri Paesi Nato – denuncia il Cremlino – hanno iniziato a inviare a Kiev istruttori militari, insieme a sistemi d’arma. “Tutto questo crea tensioni”, afferma il portavoce Peskov, che denuncia le “azioni provocatorie” delle forze di Kiev lungo la linea di contatto con le milizie separatiste nel Donbass e quelli che descrive come “i preparativi di Kiev per gestire la crisi da una posizione di forza”.
Nel frattempo, secondo fonti della Cnn, statunitensi ed europei hanno già iniziato a discutere di un nuovo pacchetto di sanzioni da comminare alla Russia in caso di invasione dell’Ucraina. Negli Stati Uniti legislatori democratici e repubblicani hanno già proposto una serie di emendamenti al National Defense Authorization Act proprio per rispondere alle nuove provocazioni russe.
L’Europa è più cauta perché la guerra delle sanzioni è intrinsecamente legata a quella del gas. Ed è qui che entra in gioco la partita del gasdotto Nord Stream 2, l’opera ormai conclusa – e temporaneamente congelata per ragioni burocratiche – che consentirà al gas russo di arrivare in Europa bypassando l’Ucraina. Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato nuove sanzioni ai danni della società russa Transadria Ltd, coinvolta in attività legate al gasdotto, identificando la nave Marlin di sua proprietà come bene congelato sulla base della normativa Peesa (Protecting Europe’s Energy Security Act). Il relativo rapporto inviato al Congresso, si legge in una nota del Dipartimento di Stato, è parte della “costante opposizione” degli Stati Uniti al gasdotto. In base alla normativa Peesa sono state sanzionate finora otto persone/entità e bloccate 17 navi. “Ferma restando l’opposizione al Nord Stream 2 anche attraverso sanzioni, gli Stati Uniti continueranno a lavorare con la Germania per contrastare i rischi che il gasdotto pone all’Ucraina e ad altri Paesi della regione, e per ridurre la minaccia russa anche nel comparto energetico”, si legge nella nota.
Per Mosca, le sanzioni annunciate dagli Usa contro il gasdotto Nord Stream 2 sono un esempio lampante di azioni restrittive unilaterali e politicamente motivate da parte dei Paesi occidentali. Lo ha dichiarato oggi il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nel corso di un forum organizzato dall’Unione russa degli industriali e degli imprenditori (Rspp). Anche il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha criticato le nuove sanzioni da parte di Washington, definendole “illegali ed ingiuste”.
Le tensioni sul gas si intrecciano pericolosamente ai movimenti militari al confine. Per l’Europa – osserva l’Ispi – le rinnovate tensioni in Ucraina si inseriscono in un quadro di crisi “da est” che, secondo Washington e Bruxelles, celerebbero lo zampino di Mosca. La stretta sulle forniture di gas o i migranti al confine tra Bielorussia e Polonia farebbero parte di una mossa coordinata per destabilizzare il continente.
Come al solito, è difficile capire quali siano le vere intenzioni di Putin: molti concordano sul fatto che attaccare l’Ucraina sarebbe una mossa irrazionale, che avrebbe un costo altissimo per un Paese già in difficoltà come la Russia; altri sostengono che la leadership putiniana, ormai in crisi, sia pronta a tutto pur di preservare il sogno di un impero neosovietico. Indubbiamente, l’accumulo di soldati al confine può avere altri fini, come prendere il controllo solo di alcune aree, destabilizzare l’attuale governo ucraino (sempre più ostile alla Russia) o mettere alla prova l’opposizione dell’Occidente con una dimostrazione di forza.
Secondo Politico.eu, la crisi in Ucraina è figlia anche del “peccato originale della Nato”: quello di aver promesso, nel 2008, una membership a Ucraina e Georgia che poi è rimasta lettera morta. Vale qui la lezione della Crimea, annessa nel 2014 senza che l’Occidente offrisse supporto militare a Kiev: né gli Stati Uniti né gli alleati europei sono pronti a rischiare una guerra con la Russia per l’Ucraina o la Georgia. Quello che i Paesi occidentali e la Nato possono fare – e in alcuni casi stanno già facendo – è aiutare l’Ucraina a rafforzare le proprie forze di difesa per scoraggiare l’aggressione. Il che significa – come a Taiwan – restare nel limbo delle prove di forza, dove il rischio di incidenti è l’unica costante.
Questo articolo è originariamente apparso su L’HuffPost ed è stato aggiornato.