Rinnovabili in corsa

Pur tra diverse contraddizioni, la strada verso le rinnovabili è tracciata. Anche in Italia

Mia Mottley, primo ministro delle Barbados, nel suo intervento alla Cop27 è stata netta: «Come possono le aziende Oil&Gas che hanno registrato 200 miliardi di dollari di profitti negli ultimi tre mesi non pensare di contribuire con 3 centesimi per ogni dollaro di profitto a un fondo per i danni e le perdite della crisi climatica?». Uno schiaffo che tocca uno degli aspetti principali della Conferenza, cioè il “Loss and Damage” e individua tra i possibili finanziatori alcuni dei principali responsabili delle emissioni climalteranti. Che naturalmente si guarderanno bene dall’aderire alla proposta.

Ma veniamo all’evoluzione climatica a livello planetario. Secondo l’ultimo rapporto della Iea, nel 2022 le emissioni mondiali di CO2 aumenteranno di 330 milioni di tonnellate. Ma le tonnellate in più sarebbero state il triplo senza il contributo delle rinnovabili e della mobilità elettrica. L’incremento mondiale della di CO2 quest’anno (+1%) è stato determinato da un piccolo aumento (+1,5%) delle emissioni statunitensi e da uno più elevato di quelle indiane. Le emissioni cinesi hanno registrato invece un lieve calo (-0,9%), analogo a quello della Ue (-0,8%). Malgrado qualche segnale positivo, resta la consapevolezza dell’inadeguatezza delle risposte perché le emissioni globali dovrebbero iniziare a scendere. Ha ragione il segretario generale delle Nazioni Unite quando sottolinea che «Siamo su un’autostrada per l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore».

Vediamo dunque le posizioni di alcuni dei principali attori. Tra i virtuosi possiamo collocare l’Europa che ha tagliato del 26% le emissioni rispetto al 1990 ed è possibile che riesca a ridurle del 55% nel 2030, considerando la rapidità con cui si stanno diffondendo le tecnologie green. Dall’altra parte dell’oceano, l’approvazione ad agosto dell’Inflation Reduction Act che prevede un’iniezione di 369 miliardi di dollari nella transizione verde, ha rimesso in moto gli Usa.

La Cina continua a sorprenderci: ospita circa la metà degli 870 GW eolici mondiali e quest’anno potrebbe installare più di 100 GW fotovoltaici. Ma la transizione è lunga e contraddittoria, come dimostrano i 15 nuovi GW a carbone approvati nel 2022. E anche l’India, che ha ormai 100 GW tra sole e vento, continua a spingere sul carbone con una produzione interna aumentata di 27 milioni di tonnellate nel primo semestre. Poi ci sono gli exploit, come il caso cileno con un boom solare (20,3%) che quest’anno ha consentito di superare la produzione elettrica da carbone.

Le criticità del gas italiano risiedono nella scarsa quantità complessiva e negli alti costi di estrazione

Insomma, il crollo dei prezzi del solare e dell’eolico facilita la diffusione di queste tecnologie, ma indubbiamente un sostegno economico, pensiamo alle batterie, alle reti e alle stesse tecnologie, accelererebbe la transizione green riducendo la necessità di puntare ancora sul carbone.

Ne è convinto John Kerry, ambasciatore Usa del clima, che afferma: «Dobbiamo dirci la verità, nessun Paese, nemmeno gli Stati Uniti, può mobilitare i 2.000 miliardi l’anno che servono per portare il mondo a zero emissioni». La proposta dunque è quella lanciare un piano che coinvolga anche grandi aziende private (come la Fondazione Rockfeller e l’Earth Bezos Fund), per accelerare la corsa: un “Energy Transition Accelerator”.

Secondo questa ipotesi, i Paesi in via di sviluppo potrebbero generare crediti di carbonio chiudendo le centrali elettriche a carbone e adottando fonti di energia più pulite. Crediti che potrebbero essere venduti a società, non del settore fossile, che cercano di compensare le proprie emissioni. Una proposta che è stata accolta con interesse da alcuni, ma che ha anche sollevato molte critiche perché ridurrebbe l’impegno delle multinazionali a ridurre la produzione di CO2.

In realtà le aspettative dei paesi in via di sviluppo alla Cop sono elevate e la proposta Usa non sembra destare grande richiamo anche per la disillusione rispetto a impegni passati. I Paesi industrializzati devono ancora contribuire al fondo di 100 miliardi annui da destinare a iniziative nei Paesi in via di sviluppo. Solo 83 miliardi sono stati allocati e, per di più, in parte come mutui. E va sottolineato come queste risorse dovrebbero servire a ridurre le emissioni,  accelerando la diffusione delle rinnovabili.

La Cina continua a sorprenderci: ospita circa la metà degli 870 GW eolici mondiali e quest’anno potrebbe installare più di 100 GW fotovoltaici. Ma la transizione è lunga e contraddittoria, come dimostrano i 15 nuovi GW a carbone approvati nel 2022

Poi c’è il capitolo dei danni enormi e crescenti dovuti all’emergenza climatica. Molti Paesi non hanno le risorse per difendersi dai drammatici effetti degli eventi estremi. Pensiamo alle recenti catastrofiche alluvioni che hanno colpito il Pakistan provocando danni per 40-50 miliardi di dollari. Proprio il percorso del “Loss and Damage” vede forti resistenze da parte dei Paesi industrializzati, anche se da qualche nazione vengono piccoli segnali. La Scozia, per prima ha riempito questo contenitore con 7,7 milioni di dollari, seguita dall’Irlanda con 10 milioni, dalla Germania con 170 milioni. Gesti di buona volontà, anche se per dare concretezza a questi aiuti serviranno decine di miliardi. Un compromesso potrebbe venire dall’adozione d’importanti schemi assicurativi climatici, come il Global Shield che la Germania aveva proposto a luglio durante il G7 da lei presieduto.

Un altro aspetto di questa Cop riguarda, come deciso a Glasgow lo scorso anno, la presentazione di nuovi e più ambiziosi impegni da parte dei governi finora meno impegnati. Le rivisitazioni sono state inviate però soltanto da 23 Paesi, sui quasi 200 che hanno ratificato l’Accordo di Parigi. Citiamo l’Egitto che punta a produrre il 42% della propria elettricità da fonti rinnovabili entro il 2035. Anche i nuovi governi di Australia e Brasile, paesi che emettono grandi quantità di CO2, hanno rivisto i propri obiettivi al rialzo: le leggi sul cambiamento climatico del premier Albanese puntano a un obiettivo di riduzione delle emissioni australiane del 43% al 2030, rispetto al 2005 (contro il precedente 27%). Mentre il Brasile di Lula si è impegnato ad azzerare la deforestazione.

Gli impatti dell’aggressione in Ucraina

Ormai si rafforza la valutazione che la necessità di eliminare le importazioni di gas dalla Russia è destinata a sconvolgere non solo gli equilibri europei ma avrà conseguenze su scala internazionale.

Guardiamo alla crescita in Europa delle rinnovabili. Secondo l’analisi di Ember e E3G, da marzo a settembre, gli impianti eolici e quelli fotovoltaici hanno generato nella UE, 39 TWh in più rispetto allo stesso periodo del 2021 (+13% su base annua), con un risparmio di 8 miliardi di metri cubi di gas. Con i valori del gas in quel periodo parliamo di un risparmio di 11 miliardi di euro. E, più in generale, la potenza solare ed eolica installata nell’Unione ha evitato l’importazione di 70 miliardi di m3 dallo scoppio della guerra, con un risparmio di quasi 100 miliardi di euro.

Il Portogallo ha alzato dal 58% all’80% la quota di rinnovabili elettriche da raggiungere nel 2026 e, ancora più clamorosa, anche se da definire con precisione, quella della Germania che vorrebbe puntare al 100% di elettricità green al 2035. Certo c’è stato un maggiore impiego del carbone e una corsa forsennata a trovare altri canali di rifornimento di metano. Pensiamo all’Italia con l’ipotesi dei due nuovi rigassificatori e la ricerca di nuovi partner per acquistare nei prossimi anni Gnl.

Il Portogallo ha alzato dal 58% all’80% la quota di rinnovabili elettriche da raggiungere nel 2026. La Germania vorrebbe puntare al 100% di elettricità green al 2035

L’auspicio è che si tratti di decisioni temporanee, mentre il cambiamento strategico risiede nella transizione alle rinnovabili, anche perché il prezzo del gas è destinato a rimanere alto nel corso di questo decennio. Secondo Rystad Energy, nel 2030 le centrali a ciclo combinato in Europa avranno costi pari a 150 euro/MWh, rendendo competitivi gli impianti rinnovabili.

Le prime uscite del governo Meloni

È presto per dare un giudizio sul nuovo esecutivo. Partiamo dalle criticità, con la ripresa delle trivellazioni, il cui potenziale totale ammonta alla quantità di gas che consumiamo in un anno. Secondo il governo potremmo estrarre a caro prezzo da piccoli giacimenti quantità limitate di metano, 1,5 miliardi di metri cubi l’anno. Per farne cosa? Per destinarle a soggetti particolari, come le industrie energivore, a prezzi calmierati. Cioè lo Stato dovrebbe pagare alle aziende estrattrici la differenza tra il prezzo di mercato e quella di cessione alle aziende utilizzatrici.

Ovviamente le polemiche sono dilagate. Dal sindaco di Favignana al presidente Veneto, oltre ovviamente agli ambientalisti. Pare proprio una battaglia di retroguardia, a fronte delle notevoli opportunità offerte dalle rinnovabili sia sul fronte del biometano sia nella generazione di elettricità.

Si può immaginare uno scenario europeo nel quale sul medio e lungo periodo aumenteranno gli scambi di elettricità solare verso i paesi del Nord, che a loro volta ci forniranno kWh eolici d’inverno

Il decreto Biometano registrato in Gazzetta alla fine di ottobre, sblocca infatti 1,7 miliardi di euro del PNRR per la costruzione di nuovi impianti e la riconversione di quelli a biogas esistenti, con una stima di 2,3/2,5 miliardi di metri cubi in più entro il 2026. Poi c’è il forte contributo, dopo anni di blocco, dalle rinnovabili. Di fronte all’enorme cumulo di progetti che si è accumulato nelle stanze del Ministero dell’Ambiente, emergono alcuni dati. Per quanto riguarda l’eolico, parliamo di 138 progetti per 18 GW, per il 60% offshore. Sono invece 560 le proposte fotovoltaiche per 25 GW, con il dato clamoroso che oltre il 60% della potenza è riferita all’agrivoltaico.

Entro fine anno le due Commissioni Via dovrebbero svincolare 7 GW solari ed eolici, anche se va chiarito che pareri favorevoli su questi progetti non si traducono automaticamente in autorizzazioni, per cui questi dati vanno considerati con cautela. Comunque, ormai ci sono le premesse per un prossimo boom delle rinnovabili in Italia. Dal governo vengono messaggi contrastanti. La presidente Meloni ha evidenziato come ci sia «un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili». Ma è andata oltre, affermando che il Sud potrebbe divenire un «Hub per l’approvvigionamento europeo». In effetti, si può immaginare uno scenario europeo nel quale sul medio e lungo periodo aumenteranno gli scambi di elettricità solare verso i paesi del Nord, che a loro volta ci forniranno kWh eolici d’inverno.

Anche dal Ministro dell’ambiente Pichetto vengono segnali interessanti. All’evento KeyEnergy organizzato dalla Fiera di Rimini che quest’anno ha riscontrato uno straordinario successo, ha affermato che nell’arco di questa legislatura, si potrebbero installare 70-80 GW rinnovabili. Un obiettivo molto ambizioso che dovrà fare i conti con i molti ostacoli che finora hanno rallentato le installazioni. E le affermazioni molto ostili (e oscene) rispetto al solare e l’eolico del nuovo sottosegretario alla Cultura Sgarbi non promettono bene.

Articolo tratto da QualEnergia novembre/dicembre 2022