Roma, 10 luglio 2025 – “Votiamo tutti contro. Se poi a settembre l’atteggiamento di von der Leyen e del Ppe non cambia rispetto alle maggioranze variabili con la destra presenteremo noi una mozione di sfiducia”. Che la mozione di sfiducia presentata dai conservatori romeni del gruppo di Ecr col sostegno dei Patrioti non avesse possibilità di essere approvata con la necessaria maggioranza dei due terzi era fuori discussione.
Meno scontato che invece i socialisti di S&D fossero pronti a sostenere la presidente della Commissione europea e la linea del Ppe all’insegna delle maggioranze variabili sempre più aperte a destra, ma non senza preservare e spostare più a destra quel cordone sanitario nei riguardi delle forze più anti-europeiste. La lunga riunione di ieri sera S&D ha invece scelto di “votare contro” la mozione e a favore della presidente e la Commissione.

Questo mentre la discussione su dazi si accinge ad arrivare al dunque, con la Commissione che promette “una soluzione negoziale” all’insegna della reciprocità per bocca del delegato al commercio Maroš Sefčovič. Anche se il Financial Times mette in guardia rispetto al fatto che la Casa Bianca possa elargire all’Europa condizioni così simili a quelle concesse a Londra su acciaio, automobili e altri prodotti.
Nonostante le insoddisfazioni dei socialisti, Ursula von der Leyen e la sua squadra dovrebbero quindi veder confermata la maggioranza politica – 370 voti su 720 – ottenuta lo scorso anno sulla base del voto della più parte di Ppe (188), S&D (136), liberali (77), settori dei Verdi (53) e una parte dei conservatori di Ecr, come i 24 parlamentari di Fratelli d’Italia: ben risoluti a sostenere il commissario Raffaele Fitto e ancor più le politiche sui migranti e mitigazione del green deal (ieri è stata bocciata la mozione sulla procedura d’urgenza per i target climatici avanzata dalle sinistre) che la premier Giorgia Meloni ha propugnato con successo persino tra i socialdemocratici del Nord Europa, come i danesi attualmente alla guida del Consiglio europeo.
Di diritto o di rovescio, si tratta di un viatico alla linea di apertura alle destre moderate, anche in funzione di argine a quelle anti-europee, perseguita dalla leadership del Ppe di Manfred Weber e del neo-cancelliere tedesco Friedrich Merz; primi sponsor di von der Leyen e promotori del piano di riamo europeo e rilancio industriale tedesco, che tra l’altro ha consentito di rimontare l’incalzare della destra di AfD (distaccata 23 a 28 rispetto al pareggio al 25%) all’insegna di rivendicazioni nazionalistiche declinate in chiave nettamente filo-occidentale.
Al netto di sorprese e defezioni su base nazionale o ideale, oggi dunque la presidenza von der Leyen riscuoterà un rinnovato e compatto sostegno all’asse popolar-socialista-liberale col sostegno di frazioni verdi. Ma anche dell’allargamento ai conservatori di Ecr, a cominciare proprio dalla destra meloniana. Insieme a una parte di Ecr, voteranno contro la presidente i Patrioti – dalla Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement national di Marine Le Pen, agli ungheresi di Viktor Orban in calo in patria – e i 5 Stelle di Giuseppe conte. Mentre la sinistra non parteciperà al voto.
Il gruppo di S&D, che minacciava l’astensione per far valere le proprie ragioni rispetto alle politiche di alleanze variabili del Ppe, dopo lungo discutere ieri sera alla fine si è risolto a votare “compattamente contro” la mozione e a favore di von der Leyen in nome del fatto di aver “ottenuto il recupero del fondo sociale europeo da più di 100 miliardi di euro che era stato tagliato e rimesso in un unico fondo di competitività” e dell’eventualità di “presentare una mozione di sfiducia a settembre” nel caso in cui il Ppe insistesse nella politica di alleanze a destra. Ma come vanno a finire le sfiducie si sa già.