CARLO CALENDA E IL REBUS FIRME PER LE ELEZIONI 2022
Nelle prossime 48 ore si saprà se il Terzo Polo nascerà a tutti gli effetti: Carlo Calenda e Matteo Renzi si incontreranno per cercare di mettere in asse un accordo in vista delle prossime Elezioni 2022. Dopo gli strappi dal Centrosinistra, il leader di Azione ha i tempi stretti non solo per provare a realizzare il programma riformista-liberale abortito con Pd-PiùEuropa, ma per un motivo molto più “concreto” ma altrettanto decisivo per la corsa al voto: la scadenza del 20-21 agosto per la presentazione delle firme a sostegno delle liste. Da canto suo Calenda si dice tutt’altro che preoccupato dal dover presentare eventualmente 56.250 firme nel giro di due settimane per presentarsi alle prossime elezioni (in realtà ne basterebbero la metà in quanto quanto si firma si fa sia per Camera che Senato): «Il Parlamento europeo ha mandato al Viminale la certificazione che io sono stato eletto in una lista composita alle Elezioni Europee 2019 (con Pd-Siamo Europei, ndr), quindi non è un problema l’esenzione che è a piena norma di legge». Dopo lo strappo con PiùEuropa che invece avrebbe garantito con il suo simbolo (esentato dalla raccolta firma, come spieghiamo qui introducendo il regolamento del Decreto Elezioni) la presenza di Calenda in lista, il rebus resta per Azione al netto delle rassicurazioni del suo leader.
Giuristi e costituzionalisti non sono infatti concordi nell’esonero permesso ad Azione: Sabino Cassese, eminente giurista ex Consulta, «ha rilasciato un parere nel quale si conferma il diritto di Azione a essere esentata dalla raccolta delle firme in vista delle elezioni del prossimo 25 settembre». Con lui anche il costituzionalista Guzzetta: «Non si può applicare ad Azione un regime differenziato rispetto agli altri. O tutti o nessuno. Calenda deve raccogliere le firme? Allora anche Di Maio, Tabacci e Bonino». Il costituzionalista Alfonso Celotto invece non reputa conveniente per Calenda far conto della questione Europee: «A Calenda e Renzi conviene puntare su una lista unica, non su una coalizione. Presentandosi come lista, dovrebbero raggiungere la soglia di sbarramento del 3%; come coalizione quella più difficile del 10% ed almeno un 1% per ogni singola lista». Al netto però di quanto dica Calenda, conclude Celotto all’Adnkronos, «deve raccogliere le firme, ammesso che non entri in lista con Renzi. In questa ipotesi di lista congiunta, i due leader potrebbero volere identificare la lista con un nuovo simbolo in cui deve però comparire un collegamento con Iv, che è il partito che gode dell’esenzione dalla raccolte delle firme». Esempio possibile è “Italia in Azione”, in questo modo «Calenda non dovrebbe raccogliere firme».
PERCHÈ CALENDA CON RENZI POTREBBE RISOLVERE TUTTO
«Con Italia Viva l’ipotesi è una lista unica ma con i loghi dei due partiti»: è proprio quanto poi spiegato da Calenda stesso nella giornata di mercoledì, alla vigilia dell’incontro decisivo con Renzi per fissare l’accordo sul Terzo Polo e presentarsi assieme alle Elezioni 2022. Se però per qualsiasi motivo domani dovesse saltare il patto con Renzi, il rischio forte per Calenda di dover comunque raccogliere le più di 30mila firme in 15 giorni si paleserebbe davanti. Forse. È vero che nel 2019 Calenda partecipò alle Europee con la lista Siamo Europei, ma era collegata al Pd e non basta dunque per essere esonerati: «il simbolo di Siamo europei era presente nel contrassegno della lista insieme a quello del Pd, ma quello stesso contrassegno fu presentato e depositato solamente dal Partito democratico», spiegano dal “Fatto Quotidiano” sententi diversi esperti giuristi. Secondo Dario Parrini, presidente della commissione Affari Costituzionali e senatore del Pd: «Tra tante cose dubbie una è certa: Azione non può essere esentata dalla raccolta firme. O mette insieme le oltre 30mila richieste, o si consegna a Renzi che la dispensa ce l’ha. Tertium non datur. Le regole sono queste, non le cambia un’intervista di Calenda».
Il problema per Calenda è che il simbolo delle Europee era a totale appannaggio del Pd che deteneva il contrassegno: ergo, non era di Siamo Europei (poi divenuta Azione). Calenda avrebbe potuto presentare al Viminale la dichiarazione di trasparenza allegata alla presentazione del contrassegno e non lo Statuto: «invece questo documento non figura, tanto che sul sito del Viminale alla pagina “Trasparenza – Elezioni europee 2019” compare solamente il nome Partito democratico, senza essere accompagnato da “Siamo Europei”». Il rischio dunque è che qualora passasse anche in Parlamento dopo le Elezioni 2022, il Pd potrebbe fare ricorso contro la norma presentata da Azione: in quel caso, avrebbe vita facile visti questi regolamenti (comunque tutt’altro che “chiari”). Al momento comunque né il Ministero dell’Interno né il Parlamento Europeo sono gli organi preposti per accettare o meno la lista di Azione-Calenda qualora si presentasse da solo: «dirimente è la valutazione degli Uffici elettorali circoscrizionali, costituite presso le Corti d’Appello, che sono chiamate a verificare se le liste “siano sottoscritte dal numero di elettori prescritto, dichiarandole non valide se non corrispondono a queste condizioni”», conclude “Il Fatto” citando il regolamento elettorale. Si torna così a “bomba”: a Calenda l’accordo con Renzi conviene. Se non dal punto di vista prettamente politico, da quello organizzavo-logistico di sicuro: per evitarsi di raccogliere 36mila firme in due settimane nel pieno dell’estate degli italiani.
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