ELEZIONI 2022/ Pd vs. centrodestra, cosa cambia nella “guerra” per le liste

Che la politica sia “sangue e merda” Rino Formica lo aveva detto tanto tempo fa. E che il momento più cruento sia quello della formazione delle liste gli addetti ai lavori lo sanno benissimo, specie in presenza di liste bloccate, dove i nove decimi degli eletti vengono decisi a tavolino dai capi partito. Ma al Nazareno si è vista una notte dei lunghi coltelli che è andata oltre le attese più truculente. Chi c’era ne è uscito con la convinzione che si tratti solo del primo atto di una fase congressuale in cui Enrico Letta si gioca la sua stessa leadership, già appannata dalla bizantina trattativa sulle alleanze, finita con la clamorosa rottura con Calenda.

Era chiaro a tutti gli osservatori che il centrosinistra sulle liste fosse assai più in difficoltà degli avversari di centrodestra. Ma nelle tredici ore ferragostane che sono intercorse fra la convocazione della direzione Pd e l’effettivo riunirsi dell’organismo di vertice si sono consumati regolamenti di conti e vendette. Morti e feriti, esclusi eccellenti e big che non hanno accettato il confinamento in posizioni non eleggibili, o la destinazione a collegi uninominali in cui la battaglia appare oggi disperata.

Prima della direzione a farsi portavoce dell’insoddisfazione rispetto alla linea politica del segretario Letta era stato il governatore emiliano Bonaccini. Dopo si aggiunge certamente la componente che fa capo al ministro della Difesa, Guerini, la corrente di “Base Riformista”, che non ha partecipato al voto sulle liste per protesta contro l’esclusione dell’ex braccio destro di Renzi, Luca Lotti. Scelte che hanno il sapore di una vendetta gustata fredda per l’“Enrico stai sereno”. Anche l’anima più realmente vicina al mondo cattolico mostra sempre più disagio di fronte a scelte discutibili, come l’esclusione (di fatto) dalle liste del costituzionalista Stefano Ceccanti. Fine, dopo 18 anni, del rapporto con il movimento piemontese dei “Moderati” di Giacomo Portas. Franceschini, al contrario, se l’è cavata anche stavolta, con un paracadute a Napoli.

Il destino di Enrico Letta è legato quindi al risultato del 25 settembre. Lì si vedrà se i suoi fedelissimi hanno o meno il controllo del partito. Se le cose dovesse andare particolarmente male, sarebbe spacciato. Gli verranno rinfacciati i troppi  posti ceduti ai “nanetti” per convincerli ad allearsi, gli Speranza, i Fratoianni, i Di Maio, i Della Vedova. Troppi, proprio quando il combinato disposto del taglio dei parlamentari e del vento sfavorevole ha ridotto di molto i seggi cui il Pd può realisticamente aspirare. Qualunque risultato della mini-coalizione di centrosinistra sotto al 30% sarebbe da considerare una sconfitta, parecchio si giocherà nei collegi “marginali”, quelli in cui si vince o perde per qualche centinaio di voti. Ma un partito abituato a non avere avversari alla sua sinistra è destinato a essere nell’occhio del ciclone delle polemiche, attaccato da 5 Stelle e Unione Popolare di de Magistris da una parte e dalla strana coppia Calenda-Renzi dall’altra. Il rischio di perdere di vista il vero avversario, cioè il centrodestra, è altissimo.

Anche in casa centrodestra il lavorio sulle liste non rappresenta un passaggio indolore: per quanto ci sia una vittoria all’orizzonte, troppi sono i pretendenti rispetto ai posti a disposizione. Solo la Meloni avrà più seggi rispetto alla legislatura precedente. Ma la differenza la fa il metodo quasi scientifico con cui si è proceduto in via preliminare: divisione fra le diverse formazioni delle 221 candidature nell’uninominale, con i collegi divisi in varie fasce di rischio, dal “blindato” al sicuramente perso. Ognuno riceverà in ogni fascia in proporzione al proprio peso (94 FdI, 70 Lega, 42 Forza Italia, 15 “Noi Moderati”). Quello che sembra oggi un lieve ritardo dovrebbe rivelarsi un percorso più ordinato. Poi, ognuno dovrà vedersela al proprio interno, e non mancheranno dolorose esclusioni. Ma persino Salvini, offrendo un seggio al fondatore Umberto Bossi, sembra voler tenere a bada le diverse anime del Carroccio.

Di sicuro sarà per tutti una corsa contro il tempo. le candidature devono essere presentate fra pochissimi giorni, tra il 20 e il 21 agosto, presso le cancellerie delle Corti d’Appello. Poi la parola passerà agli elettori.

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