Che la sanità faccia parte a pieno titolo di un programma elettorale (e della successiva agenda di governo) è un fatto scontato. Anche se quelli per il momento disponibili non rappresentano ancora la versione definitiva del programma, appare già evidente come per qualche partito (o raggruppamento elettorale) il tema è presentato in maniera più estesa e dettagliata, mentre per qualche altro la trattazione è più breve e più generale.
Molte le differenze di accento nell’approccio alla materia e/o nelle proposte di svolgimento di specifici argomenti, ma almeno quattro sono anche i temi comuni a tutti i programmi: dal progetto di rinnovamento della sanità post Covid alla attuazione del Pnrr per favorire l’implementazione della riforma della sanità territoriale, dal potenziamento dell’organico degli operatori sanitari al superamento delle liste (con il relativo accorciamento dei tempi) di attesa.
Per i tanti (come chi scrive) che ritengono che la sanità (e l’assistenza sociosanitaria) sia materia intrinsecamente sussidiaria non può non destare preoccupazione la presenza, ad esempio nei programmi dei 5 Stelle e di Azione-Italia Viva, di proposte che richiedono la riforma del titolo V della Costituzione nell’ottica di ridare più poteri allo Stato centrale in campo sanitario. È un percorso di ritorno all’antico che la storia ha già bocciato.
Così per quanto riguarda la sanità come argomento generale, ma dopo due anni e mezzo di pandemia non era certo pensabile che il virus Sars-CoV-2 se ne sarebbe stato fuori dalla contesa elettorale. Quello che stupisce, però, è il modo con cui si è fatto vivo. Se stiamo alle informazioni riportate, ad esempio, sul Corriere della Sera (ma la notizia è su tutti i giornali), anche la contabilità dei decessi per Covid diventa materia di campagna elettorale.
Viene infatti attribuita al prof. Andrea Crisanti, in lista per la coalizione progressista (Pd e altri), la considerazione che “se il Paese fosse stato nelle mani di Salvini durante la pandemia ci sarebbero state 300mila vittime al posto di 140mila”. E il pensiero viene fatto proprio dal segretario del Pd (Letta) il quale, rispondendo alle ovvie repliche e rimostranze da parte di chi era stato chiamato in causa dal professore di Padova (la Lega: “Così si specula sui morti”), dice che “a destra prevale la cultura no vax. Ha ragione Crisanti, se avessero governato Salvini e Meloni nel 2020 quante migliaia di decessi in più avremmo avuto?”, dimostrando in questo modo che l’uscita di Crisanti non è “un uovo fatto fuori dal cesto”, ma considerazione condivisa all’interno del partito.
Considerata la professione di chi scrive, sarebbe interessante conoscere i calcoli che ha fatto il prof. Crisanti (o chi per lui) per arrivare alle stime che ha proposto (300mila morti se avesse governato la destra, rispetto ai 140mila reali), che valutazioni quantitative ha fatto, di quali fattori ha tenuto conto, e così via (si vedano, a titolo di esempio in proposito, le considerazioni critiche sulle azioni di contrasto alla pandemia esposte da Mariano Bizzarri nel suo Covid-19. Un’epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione, recensito anche su queste colonne),ma temo che il mio desiderio resterà inevaso, non tanto perché molto probabilmente il professore non leggerà questa nota bensì perché questi calcoli abbiamo il sentore che non ci siano.
Con i “se” di Crisanti non si va da nessuna parte (al mio paese si dice: “se mio papà fosse un tram mi porterebbe tutti i giorni a Milano gratis”), ed è assai grave strumentalizzare la pandemia (come dice Calenda) e speculare sui morti (come dice la Lega), soprattutto se a farlo è una persona a cui (a torto o a ragione non ci interessa qui discuterlo) viene riconosciuta una certa autorità scientifica (anche se spregiativamente qualcuno lo considera solo esperto di zanzare).
Durante il lungo (e non ancora terminato) corso della pandemia ne abbiamo sentite tante di osservazioni molto discutibili, per non dire errate, da parte di diversi supposti scienziati e quindi non ci si deve meravigliare se anche Crisanti ha deciso di far parte del gruppo perché, e spiace dirlo, quella di Crisanti non è una osservazione da scienziato ma risponde ad altri obiettivi che ci piacerebbe conoscere.
L’avesse detto solo Letta probabilmente ci saremmo limitati all’indignazione per l’uso strumentale della grave situazione che stiamo vivendo da oltre due anni ed avremmo declassato il tutto alle esagerazioni che tipicamente caratterizzano il dibattito pre-elettorale, ma Crisanti è un tecnico, un esperto a cui (tra altro) sono state affidate indagini della magistratura riferite alla situazione della Lombardia (una regione che, guarda caso, è proprio governata dal centrodestra).
A voler essere “molto buoni” si potrebbe chiudere qui la querelle ritenendo l’uscita di Crisanti e Letta una delle tante stupidaggini o boutade che vengono elargite a piene mani durante tutte le campagne elettorali, e la rapida scomparsa dell’argomento dagli organi di informazione indirizzerebbe verso questa interpretazione. Ma noi siamo strutturalmente peccatori e allora (con Andreotti) si preferisce pensare che l’uscita della coppia del Pd sia la spia di un atteggiamento capace di usare violentemente (almeno nel linguaggio e nei toni) anche le situazioni più tragiche che meriterebbero tutt’altro atteggiamento e rispetto. Non si hanno elementi specifici per fare delle eventuali previsioni, ma al posto dei politici regionali coinvolti nell’indagine della Procura di Bergamo comincerebbero a tremarmi le gambe.
È ben noto che dire stupidaggini o fare boutade costa poco o niente (“vengon via gratis” si dice sempre al mio paese). Il problema però è che, di solito, il loro effetto negativo si paga dopo: vedremo se questo avverrà anche questa volta dove gli arbitri della vicenda saranno gli elettori.
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