Posso darvi solo un consiglio, da qui al 25 settembre. Guardate alla politica tedesca e non a quella italiana. E non per il livello sconfortante del dibattito cui stiamo assistendo, tra faide per un posto in lista, amici, amanti e parenti paracadutati e dibattiti volutamente alieni dalla realtà: perché, piaccia o meno, il destino del nostro Paese è legato a doppio filo a quello di Berlino. Dove, meglio essere chiari, le cose peggiorano di giorno in giorno. E il Governo Scholz comincia a sudare freddo, nonostante le temperature.
Il vice-presidente del Bundestag, il quale a sua volta è anche numero due del FPO, i Liberali, la scorsa settimana ha colto tutti di sorpresa, suggerendo nel corso di un’intervista che il Paese dia luce verde immediata all’apertura di Nord Stream 2, se vuole salvare l’impresa e garantire un inverno al caldo ai cittadini. Non so se vi è chiara la portata dell’accaduto: una figura istituzionalmente rilevante come la seconda carica del Parlamento tedesco getta letteralmente nel cestino l’impostazione di politica estera dell’esecutivo e addirittura apre a maggiore dipendenza dal gas russo. Delle due, l’una: o Wolfgang Kubicki è impazzito oppure la situazione del Paese è alle soglie della catastrofe. E, nemmeno a dirlo, la risposta è la seconda. Certificata da quel +37,2% su base annua dei prezzi alla produzione, di fatto la tetra garanzia di un’inflazione sui consumi che proseguirà la sua crescita almeno fino a Natale, poiché quei costi dovranno giocoforza essere scaricati sulla filiera per sopravvivere. E che, comunque, imporrà il prezzo di fallimenti aziendali.
Esattamente gli stessi che il vice-presidente del Bundestag vorrebbe evitare, aprendo anche la seconda pipeline con la Russia, quella bloccata lo scorso inverno per volontà politica del nuovo esecutivo. E su diretta imposizione degli Stati Uniti. I quali, consci di cosa sarebbe avvenuto da qui a pochi mesi in Ucraina, poiché ideatori della strategia, avevano dato vita al loro piano di distruzione dell’economia europea per via energetica e inflattiva.
Guarda caso, oggi il gas negli Usa costa 9 volte meno che in Europa. Cosa dite, le aziende statunitensi avranno qualche piccolo vantaggio competitivo rispetto alle nostre? Ed ecco che questo grafico ci mostra come i tedeschi paiano decisamente favorevoli alla linea di Kubicki. O, quantomeno, abbiano bocciato senza appello quella tenuta finora dal Governo.
Se infatti il gradimento per l’operato di Olaf Scholz come Cancelliere vede solo il 25% degli interpellati favorevole contro il 62% di delusi, stessa percentuale vale per l’intero esecutivo con un 65% di pareri negativi e solo un 27% di soddisfatti. Ma si sa, sondaggi come questo pubblicato domenica sulla Bild am Sonntag non fanno notizia in Italia. Dove, infatti, l’unica news giunta dalla Germania è l’ennesima pagliacciata delle strip-teasers del Dipartimento di Stato, quelle Femen che hanno mostrato le tette di fronte proprio a Olaf Scholz, chiedendogli l’esatto contrario di quanto proposto da Kubicki. Ovvero, chiudere del tutto con Putin sul gas. Tradotto, chiudere il Paese.
Non vi sorge nemmeno ora qualche dubbio su quanto stia accadendo e su quanto sia stato reso possibile dallo scorso 24 febbraio? Davvero? Allora vi meritate l’inferno economico che già bussa alle porte. Perché per quanto si voglia evitare di guardare la realtà in faccia, esiste un limite anche alla negazione colposa dell’evidenza. Ai prezzi attuali del gas, la Germania è destinata a una recessione senza precedenti. L’Italia alla svendita. Perché se togli alle imprese del Nord le commesse tedesche, destinate a essere annullate o delocalizzate verso Paesi che offrono minore qualità, ma anche minori costi di produzione dei prodotti, il gioco è fatto. Calo degli ordinativi significa calo del fatturato in un momento in cui la sola bolletta energetica è in grado di far chiudere almeno 3 aziende su 5.
Il sistema bancario? Congelato. Perché quel +37,2% di aumento su base annua dei prezzi alla produzione in Germania significa Bundesbank sulle barricate in sede Bce: i tassi devono salire. Spediti. E di molto. Ovviamente, questo comporta il rischio di un mismatch con la Fed, la quale da qui all’autunno bloccherà invece il suo ciclo rialzista. Ma Berlino non può più permettersi dinamiche simili. Occorre porre un freno.
E attenzione, perché ci vorrà tempo. Molto tempo. Perché una cosa è alzare i tassi gradualmente quando l’inflazione raddoppia il target statutario e si colloca al 3,5-4%, un’altra è farlo – come accaduto – quando ormai i buoi sono scappati e i prezzi veleggiano all’8%. Insomma, alzare i tassi non fa miracoli. Ma la Germania, intesa come Governo Scholz, oggi come oggi ha solo questa arma. E deve usarla al meglio, soprattutto politicamente. Perché se ancora pare imbarazzante e prematuro cedere al buonsenso di Kubicki, nonostante la gente capirebbe e ti applaudirebbe (a differenza degli intellettuali al soldo di Washington, pronti a indignarsi in nome di vedove e orfani ucraini), quantomeno occorre vendere all’opinione pubblica una chiara impronta di intransigenza rigorista in fatto di politica monetaria. Tradotto, fine dei pranzi gratis per Italia, Spagna e Grecia. Quantomeno, il tedesco medio costretto alla doccia tiepida, alla città al buio e condannato a un inverno con il doppio maglione, potrà prendersela – as usual – con le cicale del Sud Europa.
E in tal senso, attenzione a quanto pubblicato dall’ex Governatore della Banca centrale olandese, Nout Wellink, sul sito dell’OMFIF, il think tank delle Banche centrali. ed è meglio che lo leggiate con molta attenzione, a partire da titolo e sottotitolo. Ovvero, l’uomo che vanta nel suo curriculum cariche apicali alla Bce, al Fondo monetario internazionale, al Financial stability board e alla Banca per i regolamenti internazionali e che è stato ideatore del progetto di riforme sui requisiti di riserva e liquidità per il sistema bancario globale (insomma, uno che conta davvero e non un sedicente guru alla Prodi), ha detto chiaro e tondo che il reinvestimento titoli che la Bce ha lanciato dallo scorso 1 luglio e che da allora sta garantendo navigazione tranquilla al nostro spread potrebbe essere illegale. E qui non siamo di fronte ai ricorsi da barzelletta di qualche avvocato weimariano di fronte alla Corte di Karlsruhe, qui siamo al fiancheggiamento accademico esterno e di primissimo livello a una battaglia che la Bundesbank già intendeva scatenare e che ora, stante lo stato dell’economia tedesca, diviene addirittura cortina fumogena necessaria. Ma senza reinvestimento, lo spread dei Paesi periferici esplode. Il nostro per primo. E l’unica alternativa è il Tpi, ovvero quello scudo anti-spread con condizionalità che somiglia tanto al Mes.
Capito perché occorre guardare alla Germania e non alle pagliacciate di casa nostra, per capire cosa fare il 25 settembre? Anzi, una deroga è necessaria. Guardate fissi a Berlino, fidatevi di me. Ma domani guardate in direzione Rimini. E leggete tra le righe quanto verrà dichiarato da Mario Draghi al Meeting. Scommettete che non sarà molto differente, come senso finale pur paradossalmente in direzione opposta, dal mio ragionamento?
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