Meloni indagata: “Vado avanti”. La premier riunisce la maggioranza. “Impegnati a difendere l’Italia”

Roma, 29 gennaio 2025 – Dal consiglio di guerra a Palazzo Chigi, al secolo vertice di maggioranza, esce fuori solo un nome: quello di Giulia Bongiorno. Sarà lei a difendere, semmai fosse necessario, tutti e quattro gli indagati di lusso per il caso Almasri. È una scelta perfetta da più punti di vista: la senatrice è una ’principessa’ del foro con numerose vittorie alle spalle, ha già smontato una volta le accuse del procuratore Francesco Lo Voi nel processo Open Arms contro Salvini. Ed è un’esponente della Lega mentre tre degli indagati (Meloni, Mantovano, Nordio) sono di FdI e l’ultimo, Piantedosi, almeno formalmente è indipendente. Il nome di Giulia Bongiorno, come non manca di segnalare Palazzo Chigi, serve pure a chiarire che il governo è compatto e stavolta di incrinature davvero non ce ne sono. Nemmeno c’è bisogno di agitare l’arma (spuntata) del voto anticipato per convincere tutti a far quadrato.

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Giorgia Meloni Presidente del Consiglio dei Ministri del Governo della Repubblica Italiana, segretario del partito Fratelli d’Italia (Photo by Roberto Serra / Iguana)

Caso Almasri, indagata Giorgia Meloni. La premier: “Non mi faccio intimidire”

Altre decisioni il summit non prende. Fa il punto sulla situazione dell’immigrazione, concludendo che l’aumento degli sbarchi dalla Libia (3.354 dall’inizio dell’anno, l’80% in più di gennaio 2024) non è correlato al fattaccio Almasri ma alle guerre fra due tribù, che hanno impedito di bloccare le partenze soprattutto nella città di Zawya. Fermo restando l’accordo con Tripoli, l’esecutivo intende avviare interlocuzioni con Bangladesh e Pakistan, da cui vengono il maggior numero di migranti. Per il resto la strategia resta quella impostata a botta calda dalla premier che, con un post sui social, ripete quanto già detto nel video martedì: con toni simili la spalleggia la sorella Arianna. In più Giorgia aggiunge una frase sola ma significativa: “Quando sono in gioco la sicurezza della Nazione e l’interesse degli italiani, non esiste spazio per passi indietro”. Il fatto è che passi indietro non li chiede nessuno. Anm e opposizione ripetono che non c’è stato alcun avviso di garanzia, che l’informazione sull’iscrizione nell’albo degli indagati era imposta dalla legge. Il Quirinale è naturalmente preoccupato per lo scontro in atto ma, per ora, non intende prendere posizione.

Giorgia, però, ha tutto l’interesse ad alzare i toni, dipingendosi come assediata, minacciata da una sorta di golpe. Serve a preparare il terreno per la campagna referendaria sulla separazione delle carriere e, non a caso, da Salvini a Tajani fino all’ultimo sottufficiale del centrodestra, tutti indicano in quella riforma l’origine dell’attacco della magistratura. Con un’appendice: fonti di governo ricordano che il procuratore Lo Voi ha fatto ricorso al Consiglio di Stato perché Mantovano gli ha tolto l’aereo dei servizi con cui per ragioni di sicurezza, volava da Roma a Palermo e viceversa. In realtà di qui al referendum passeranno molti mesi. La tensione alle stelle serve soprattutto per condizionare la magistratura su faccende ben più puntuali: oggi la Corte d’appello di Roma deciderà sulla convalida dei trattenimenti per i 44 richiedenti asilo rimasti nel centro di Gjader, argomento trattato ieri nel summit. Se la sentenza fosse identica alle due precedenti del tribunale di Roma e ordinasse il ritorno in Italia dei migranti il governo avrebbe gioco facilissimo nell’attribuire la scelta non al rispetto della legge ma all’offensiva dei magistrati rivelata dall’indagine. Insomma, strategia win-win per l’esecutivo.

Il punto è che il clamore provocato dalla scelta di Lo Voi rende difficile mantenere la sordina come era stato finora sul vero problema: volendo sarebbe stato facile evitare la liberazione di Almasri. L’opposizione teme che il governo apponga il segreto di stato: non sarà cosi, l’ipotesi è stata scartata. Piuttosto i ministri adopereranno il “rispetto del segreto istruttorio” per mantenere la reticenza dimostrata sinora. Stavolta però un centrosinistra sin qui quasi addomesticata dalle responsabilità a cui nessuno si è mai sottratto dal 2017 negli accordi con i libici potrebbe sfoderare gli artigli.