Alessia e Chiara, due assassine che non volevano essere madri

Alessia Pifferi e Chiara Petrolini. Due donne, due madri, due assassine. Riflessi distorti dello stesso specchio, due facce dell’abisso di chi nega, manipola e riscrive la propria verità per uscire pulite da un orrore che hanno orchestrato con freddezza.

Alessia Pifferi ha lasciato morire la figlia Diana, 18 mesi. Sei giorni di agonia. Sei giorni di fame, sete, paura. Un delitto che trasuda indifferenza emotiva più che impulso omicida. Non ha ceduto ad un raptus. Ha scelto. E, mentre Diana moriva, Alessia era altrove, tra letti occasionali e gite al lago.

Chiara Petrolini, invece, ha sepolto i suoi figli nel giardino di Traversetolo quando erano appena nati. Lo ha fatto come si cancella un errore di percorso. Niente a che fare con un blackout emotivo, ma con una strategia di occultamento. Se la Pifferi ha lasciato che il tempo facesse il suo lavoro, la Petrolini ha agito con la precisione chirurgica di chi vuole eliminare le tracce prima ancora che qualcuno le cerchi.

Due modalità omicidiarie diverse, un unico obiettivo. Nessuna delle due voleva essere madre. Nessuna delle due ha mai visto la maternità come un legame. Alessia Pifferi ha scelto la recita, la strategia della finta inconsapevolezza. Ha provato a giocare la carta dell’infermità mentale, la carta della debolezza.

“Devo fare la scema”, “Devo fare la mongoloide”, diceva in carcere alla mantide della Brianza. Parole che inchiodano, che smontano qualsiasi difesa, che raccontano la verità di chi sa benissimo quello che ha fatto. Non è una madre disperata. È una stratega del male, una donna che sapeva, e sa, di dover fingersi “diversa” ed incapace per evitare il carcere a vita.

Chiara Petrolini ha scelto l’altra strategia, quella del distacco totale.
Nessun crollo, nessuna incrinatura, nessun pentimento che non fosse strategico e finalizzato a concretizzare il piano. Quei bambini non sono mai esistiti e mai esisteranno. Almeno, non per lei. Sono stati un fastidio da risolvere. Non c’è stata rabbia, non c’è stato panico, ma solo la necessità di ripristinare l’ ordine personale.

Pifferi e Petrolini non sono mai state davvero madri, ma solo registe della propria storia, pronte a inscenare l’innocenza, la fragilità, la vittimizzazione. Tradendo la natura stessa del loro ruolo. Entrambe, ora, giocano la stessa partita: quella della manipolazione. E se la giustizia esita, se la giustizia traballa, avranno vinto loro.