Trieste, 25 febbraio 2025 – Quasi come un mosaico che si frantuma, una per volta cadono le tessere del caso Unabomber che, inesorabilmente, va a chiudersi portando con sé i suoi misteri. L’udienza di lunedì nell’inchiesta bis, con il conseguente rinvio al 15 settembre, ha messo una pietra tombale sui reati commessi nel 2005, dopo venti anni finiti in prescrizione. Solo una vittima degli attentati avrà ancora diritto di chiedere il risarcimento, un infermiere ferito nell’ultimo attentato con conseguenze per le persone, il 6 maggio 2006. Quel giorno a Porto Santa Margherita, Caorle, deflagrò un ordigno nascosto sotto il tappo di una bottiglia con un messaggio e l’infermiere, di Mestre, all’epoca 26enne, rimase ferito.
Ma è una speranza flebile anche quest’ultima: la possibilità di chiedere un risarcimento cadrebbe se il caso si chiudesse dopo il 6 maggio 2026. Senza considerare che l’epilogo dovrebbe scrivere il nome del o dei colpevoli. Forse le tecnologie potrebbero far emergere il o i nomi e consegnarli alla storia, più che al carcere. Intanto, si attende entro il 24 maggio la perizia dei consulenti Giampietro Lago ed Elena Pilli, disposta dal gip Luigi Dainotti nel marzo 2023 in incidente probatorio e che, di rinvio in rinvio, dopo due anni non è stata depositata. Una perizia complessa: deve verificare se il Dna ricavato dal riesame dei reperti corrisponda a uno degli 11 indagati dopo la riapertura del caso. E di un’altra ventina di persone che potrebbero aver avuto contatti con i reperti, inquinandoli.
Ricapitolando. Tra 1994 e 2006 avvennero 34 attentati a Pordenone, Udine, Treviso e Venezia, esplosivo nascosto in una candela, un uovo o un tubo. A nulla valsero le indagini alternatesi con centinaia di investigatori e rimbalzate in inchieste di volta in volta coordinate dalle procure di Pordenone, Udine, Treviso, Venezia e, ultima, Trieste. Che per questo è oggi distretto giudiziario competente. Una sola persona è stata accusata per anni, Elvo Zornitta, l’ingegnere di Corva di Azzano Decimo (Pordenone) assistito dall’avvocato Maurizio Paniz, e scagionato nel 2016 quando fu scoperto che la prova regina – un lamierino tagliato – era stata manomessa da un poliziotto, Ezio Zernar, poi condannato.