Sono centrali per la conservazione della biodiversità ma i siti Natura 2000, soprattutto quelli marini, non sono abbastanza diffusi in Italia. Il progetto per farli crescere
Dal mensile – È lo strumento principale della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Insieme alle aree protette nate con la Legge quadro del 1991 ha reso l’Italia uno dei presidi di biodiversità del Vecchio continente, permettendo di proteggere in totale circa il 21% del territorio nazionale e il 16% di quello marino.
È la Rete Natura 2000, istituita 30 anni fa dall’Ue attraverso la direttiva “Habitat”, il cui obiettivo è la salvaguardia di specie e habitat a rischio. Eppure non mancano le difficoltà: la Rete Natura 2000 ancora non garantisce un’adeguata protezione degli habitat e delle specie minacciate, soprattutto per quanto riguarda quelle marine, tanto da aver portato la Commissione Europea ad aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per non aver completato adeguatamente la designazione dei siti da inserire nel progetto. Inoltre, le informazioni sullo stato di conservazione di quasi la metà delle specie marine, circa il 39%, sono ritenute insufficienti (dati Ispra). E sono ancora troppi i tratti di mare senza custodia, delle vere e proprie terre di nessuno: sono le aree in mare aperto e transfrontaliere, al confine con altri Stati, prive della tutela necessaria.
Al fine di migliorare la governance dei siti marini N2K, a inizio anno è partito il progetto Life Sea.Net, finanziato dal programma Life dell’Unione Europea. Un progetto che utilizza un approccio integrato, replicabile anche in altre aree, grazie al quale verrà assicurata una gestione efficace e coerente dei siti e che accrescerà la conoscenza della Rete e della sua importanza per le ricadute politiche, economiche e sociali sul territorio.
Nei quattro anni di progetto le diverse attività di informazione e sensibilizzazione previste abbracceranno anche il grande pubblico, dai turisti agli studenti. Da una recente indagine di Legambiente è emerso infatti che solo il 6% degli italiani conosce la Rete Natura 2000, ma la stragrande maggioranza vorrebbe conoscerne l’estensione e soprattutto i benefici che può portare alle tante comunità che si reggono sull’economia del mare, primo tra tutte il mondo della pesca professionale.
Grazie al toolkit di governance realizzato nell’ambito di Life Sea.Net, i processi di gestione e definizione dei siti marini Natura 2000 verranno quindi migliorati. Il documento comprenderà protocolli di monitoraggio, una guida pratica per l’identificazione di obiettivi e misure di conservazione, un manuale per la corretta applicazione delle procedure di valutazione di incidenza nei siti marini, un libro bianco per l’istituzione dei siti in mare aperto e una roadmap per tracciare quelli transfrontalieri. Un obiettivo ambizioso che sarà possibile grazie a un partenariato di progetto rappresentativo degli attori necessari a raggiungere i punti fissati: con il coordinamento di Legambiente saranno coinvolte tre Aree marine protette (Isole Egadi, Punta Campanella e Regno di Nettuno), i Parchi Nazionali dell’Arcipelago Toscano e del Cilento, le Regioni Basilicata e Campania, oltre a ministero della Transizione Ecologica, Ispra e Federpesca. Il modello di gestione e protezione ambientale realizzato dalle aree marine protette farà da traino alla crescita della Rete in Italia e servirà per definire i siti marini italiani che l’Europa ci chiede da tempo.