La testardaggine della realtà sta mettendo in crisi chi vive di ideologia e chi ritiene più importanti i propri slogan dei fatti concreti. Il tasso di occupazione totale ha superato il 60%. È un dato record per il nostro mercato del lavoro, raggiunto attraverso un balzo in avanti di contratti a tempo indeterminato maggiore della crescita di quelli a tempo determinato. Certamente chi aveva previsto che con la fine del blocco dei licenziamenti avremmo avuto quasi un milione di disoccupati dovrebbe recitare almeno una piccola autocritica e rivedere i parametri con cui valuta la realtà. Altrettanto dovrebbero fare coloro che per una presunta agenda sociale hanno messo fine prima del previsto al Governo Draghi e alla legislatura. Sono da associare agli strabici sociali coloro che continuano a gridare di incrementi di povertà e non vedono il costante incremento di depositi bancari e patrimonio immobiliare delle famiglie.
Va allora tutto bene madama la marchesa? Per chi cerca nei numeri un po’ di realismo non sono cresciute le illusioni ma alcune indicazioni per sfruttare una situazione che ci sta offrendo risorse da investire nel futuro.
La crescita dell’occupazione è stata determinata dalla chiusura di percorsi di cassa integrazione che duravano da oltre tre mesi. Erano code di Cig da pandemia e da percorsi di ristrutturazione di alcuni settori produttivi. Nello stesso tempo la ripresa di contratti a termine, molto diffusi in tutto il settore dei servizi al turismo, ha dato il risultato record del tasso di occupazione. Che ci siano ancora margini di crescita che dovremo saper sfruttare ci è reso evidente dal dato delle ore lavorate, ancora inferiore a quello che vi era all’inizio della crisi pandemica. Molti contratti sono quindi con part-time involontario e, di conseguenza, con salari mensili contenuti.
Non prendo in considerazione le analisi legate ai redditi da lavoro nero. Si possono svolgere sulla base di rapporti sulle evasioni sia dell’Iva che dei redditi. L’analisi, attraverso le verifiche patrimoniali, sarebbe molto utile per poter avere una riforma della tassazione dei redditi più aderente alla realtà e anche per ridisegnare l’accesso ai servizi contro la povertà che elimini i molti abusi oggi registrati.
Come si può evincere da questi pochi dati di fondo che riassumono lo stato del mercato del lavoro, appare prioritario metter risorse per una crescita della produttività del sistema. Una crescita complessiva della capacità dell’intero sistema economico nazionale, a partire dalla Pa, è indispensabile per poter passare a una crescita stabile e diffusa dei redditi da lavoro. Tutto ciò passa attraverso percorsi di semplificazione e di sburocratizzazione che possono trovare nella digitalizzazione dei servizi un supporto essenziale. Ma si dovranno varare anche riforme di liberalizzazione che cancellino privilegi corporativi nelle concessioni pubbliche, grandi e piccole, e nelle professioni. Liberalizzare sapendo dosare con intelligenza sussidiarietà e solidarietà sociale è il percorso aureo che può dare vita a nuovi settori economici che superino le antinomie attuali.
Concentrare le risorse della spesa pubblica aggiuntiva per questi obiettivi sarebbe un passo deciso verso quella ricerca di ambiti di spesa buona verso il continuo incremento di spesa improduttiva. Dalle prime battute della campagna elettorale non pare però prendere forma una proposta decisa in questo senso. Da entrambi i principali schieramenti escono solo proposte di nuove voci di spesa pubblica, talvolta come per pensioni e nuovi ristori alle famiglie con cifre folli, e quando prevedono apparenti coperture si tratta di nuove tasse che concorrerebbero a fare del nostro Paese quello con il record di tassazione dei redditi e la minore tassazione delle rendite.
Dei tre temi che toccano maggiormente la vita della gente, lavoro, formazione e istruzione e salute, non si vedono che proposte di superficie. Quando si richiama però l’importanza delle scelte indicate nel Pnrr, scelte che tutti dicono di voler portare avanti, si deve dire con chiarezza come si intendono attuare le priorità indicate. La più importante è oggi diventata quella relativa all’autonomia energetica del Paese e non si può essere ambigui sugli impianti necessari nell’ambito delle tecnologie sostenibili indicate dall’elenco europeo.
Sostenere il lavoro è sostenere lo sviluppo del nostro sistema di imprese e sostenere la crescita della produttività di sistema. Una rete efficace di operatori pubblici e privati per garantire una politica attiva del lavoro e percorsi formativi per occupati e disoccupati è l’obiettivo realizzabile a breve, sanando un ritardo storico del nostro Paese nei servizi al lavoro.
Gli investimenti nella sanità dovranno dare un sistema di servizi alla salute, territoriale e ospedaliero, in grado di farci dimenticare disfunzioni, burocratizzazioni e ritardi tecnologici che sono stati messi in luce dalla crisi pandemica. È soprattutto il sistema dell’istruzione e formazione che dovrebbe avere la massima attenzione. Se come appare da molte ricerche è la dotazione di cultura personale che rende le persone più attrezzate per affrontare le diverse fasi della vita, se l’istruzione individuale conta più del reddito per poter dire di vivere con soddisfazione è su un nuovo sistema scolastico e di formazione professionale che dovrebbe scaldarsi il confronto politico. Non solo per i problemi certi dal mismatching sempre più profondo che si registra fra competenze richieste dalle imprese e quanto presente nella offerta di lavoro. La politica di eguaglianza e di inclusione si misura a partire da quanta centralità verrà data all’impegno di dare a tutti maggiori opportunità di avere alta preparazione culturale. Aggirare questo problema o rinviarlo è tradire la domanda di un domani migliore e sostenibile che viene dai più giovani.
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