Roma, 24 gennaio 2025 – Nessuno degli addetti ai lavori pronuncia la parola “regia”, ma “benedizione” ricorre nella valutazioni comuni. E, dunque, Palazzo Chigi (che formalmente si mantiene defilato) e il ministero dell’Economia (che, invece, era informato come primo azionista della banca senese e considera l’operazione “convincente”) benedicono di fatto il tentativo della banca senese di conquistare Mediobanca. Il che, del resto, è confermato indirettamente dallo stesso amministratore delegato dell’istituto che ha lanciato l’Ops (offerta pubblica di scambio), Luigi Lovaglio, che non solo spiega di avere parlato della ipotesi con il ministro Giancarlo Giorgetti due anni fa, ma fa sapere anche che “il Mef non ha posto alcun limite”.
La “benedizione” del governo e della maggioranza alla creazione di un terzo polo creditizio romanocentrico in senso politico e finanziario arriva innanzitutto da Fratelli d’Italia (dunque, innanzitutto, Giorgia Meloni) e dalla Lega (dunque, da Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini). Più defilata è Forza Italia, che si dichiara a favore dell’operazione, ma pone il problema della quota in mano al Tesoro che dovrebbe finire, invece, sul mercato. Mentre, nel fronte dell’opposizione, colta di sorpresa dall’iniziativa, si va dalla cautela del Pd (“Le operazioni di aggregazione vanno valutate positivamente se producono effetti positivi, non se sono un risiko”, avvisa Antonio Misiani) alla bocciatura secca dei 5 Stelle, tutti in pressing, però, perché il responsabile dell’Economia si presenti in Parlamento. “In attesa di sviluppi la mia valutazione è positiva – fa sapere il presidente della commissione Finanze della Camera Marco Osnato di FdI –. Accettiamo e osserviamo il mercato, che ha le sue regole e le sue dinamiche ma la politica si può e si deve interessare di un’operazione così importante, e questa lo è, perché può dare una prospettiva di consolidamento del sistema bancario italiano”.
Per la Lega, che si era espressa a favore del presidente di Mps, l’avvocato Nicola Maione, alla fine della giornata parla direttamente lo stesso Giorgetti (agli Stati generali del partito in Piemonte): “Il governo ha dato fiducia in assoluta autonomia al management di Mps che ha realizzato risultati eccezionali, che ha un disegno, che ha fatto una proposta di mercato. Se il mercato risponderà saremo contenti, se il mercato non risponderà ne prenderemo atto. Credo che sia assolutamente lineare, totalmente trasparente e nell’interesse dell’economia italiana”. Più articolato il giudizio del vicepremier Antonio Tajani: “Noi siamo per il libero mercato. Lo siamo stati per operazioni passate, lo siamo anche per le operazioni di cui si parla oggi. Per noi conta questo principio: il libero mercato”. Il punto è che Forza Italia, con il portavoce Raffaele Nevi, insiste su una richiesta: il Mef detiene l’11,7 per cento del capitale Mps e “noi auspichiamo che lo Stato la metta sul mercato quanto prima”. Il punto, però, è anche un altro: che in Mediobanca, oggetto dell’Ops, la famiglia Berlusconi ha sì solo il 3,49 per cento, ma la quota è interna al patto di consultazione. E non è detto che l’operazione sia stata presa bene dalle parti di Arcore.
Ma perché il governo e principalmente Fratelli d’Italia e la Lega guardano, invece, con favore alla mossa di Mps (che significa la mossa degli azionisti forti Caltagirone e Delfin)? Perché, come spiegano fonti beninformate, dopo decenni di predominio incontrastato di poli bancari e finanziari centrati su Milano e sul Nord si punterebbe a creare un terzo soggetto che, però, possa ridare centralità a Roma e, dunque, anche alla influenza della politica sugli assetti finanziari e creditizi del Paese. Non solo e non basta. Arrivare a controllare Mediobanca da parte di un asse pubblico-privato a tre punte significa anche riuscire a controllare o influire su colossi come Generali e, dunque, riuscire a bloccare (forse, ma non è detto, per i tempi) o a sterilizzare in prospettiva operazioni come quella che vede il gruppo di Trieste puntare a allearsi con i francesi di Natixis per il risparmio gestito. Quel che è certo, insomma, è che la politica, dopo qualche decennio di stop, punta di nuovo a dire la sua nelle operazioni che riguardano gli assetti del sistema finanziario italiano. E non solo.